Il Ddl Zan, che sta suscitando pareri e opinioni contrastanti, si propone di prevenire e ostacolare atti di discriminazione e violenza basate su sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità.
In particolare, il disegno di legge ha prodotto perplessità sulla sua formulazione e sull’accezione di identità di genere.
Don Marco Andina, licenziato in teologia morale e vicario generale della diocesi, espone la sua opinione a riguardo.
Nel Ddl Zan si legge che “per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”. Cosa si intende per identità di genere, invece, secondo la teologia morale?
“Il pensiero tradizionale della Chiesa Cattolica definisce l’identità di genere a partire soprattutto dal dato biologico e psicologico. I generi sono due, maschile e femminile, e il punto di riferimento essenziale per definire il senso della sessualità è l’eterosessualità dei generi: la relazione uomo-donna aperta alla generazione. Su questo sfondo, negli ultimi 60 anni sono nate molte riflessioni, spesso legate alle battaglie del femminismo, che hanno messo in questione questo dato in maniera radicale passando da un concetto che privilegiava in maniera univoca il sesso biologico a una determinazione del genere più articolata e sempre più soggettiva in base non solo e non soprattutto ai dati biologici, ma anche a quelli culturali, sociali e ai vissuti psicologici”.
Qual è la sua opinione sul Ddl Zan?
“Sono a favore di una legge che vada a contrastare violenze e discriminazioni di qualunque tipo ed entità. In Italia mancano dei riferimenti penali precisi per tutelare chi è vittima di discriminazioni basate sul sesso e orientamento sessuale; ritengo quindi sia opportuno colmare questa lacuna e che si legiferi su questa materia. Credo però che il Ddl Zan così come è stato proposto potrebbe generare alcune problematicità”.
In quali passaggi non funziona, secondo lei?
“Dal mio punto di vista bisognerebbe soprattutto riformulare l’articolo 1. Una definizione così ampia di identità di genere potrebbe potenzialmente creare conflitti tra legittime opinioni e discriminazioni. Nella questione del gender, estendendo così tanto il concetto, si rischia che qualsiasi opinione divergente rispetto a queste teorie diventi discriminazione. Se io sono contrario a qualsiasi forma e manifestazione di odio o violenza per i motivi espressi dal disegno di legge, ma ritengo che la generazione debba avvenire tra uomo e donna e all’interno della famiglia, questa mia opinione potrebbe essere intesa come forma di discriminazione? Questo apre una serie di questioni che potenzialmente potrebbero rendere molto labile il confine tra legittima opinione e il rischio di favorire discriminazioni: il rischio, per fare un esempio, è che un’opinione della Chiesa Cattolica possa sfociare in un comportamento che potrebbe essere valutato come discriminatorio e che ci sia quindi una linea troppo incerta di divisione tra le due sfere. È un terreno delicato e complesso: condivido le indicazioni del presidente emerito della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick, che sottolinea come secondo lui la legge funzionerebbe meglio, e forse sarebbe applicata con più chiarezza, se ci si riferisse nell’articolo 1, in forma più generica, al sesso in tutte le sue manifestazioni ed espressioni di ordine sociale ed individuale. Sarebbe una formula in grado di intercettare tutte le forme di violenza e di rendere meno problematico il rapporto tra opinione e discriminazione”.
L’intervista completa e maggiori approfondimenti sul Ddl Zan sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 2 luglio 2021.
Federica Bassignana