Il buon vecchio “padellone” a 33 giri o long playing è andato in pensione, vende ancora un certo numero di copie ai nostalgici come me, ma ha lasciato spazio al compact disk che negli anni 90 sembrava la soluzione definitiva per chi desiderava ascoltare musica. Tre decenni dopo, la musica ricorre sempre meno a un qualunque supporto materiale e vive, virtualmente, negli smartphone e nei computer. Un qualunque giovane oggi difficilmente frequenta un negozio di dischi e sceglie piattaforme streaming come Spotify o Apple Music per ascoltare il genere musicale che predilige e ricerca abitualmente video dei propri artisti preferiti su YouTube.

Da quelle parti ci s’imbatte in qualunque cosa e molti giovani postano video di proposte musicali autoprodotte, video dedicati all’approfondimento del pop, del jazz o del rock. Quando i loro video raggiungono un certo numero di persone che scelgono d’iscriversi al loro canale e ottengono un buon numero di visualizzazioni, la loro attività diventa un mestiere vero e proprio. Gli Youtuber possono occuparsi di qualunque argomento: politica, filosofia, religione, cucina, sport e tutto il resto. 

Ho scelto di andare alla ricerca di uno Youtuber astigiano e ho trovato Andrea Cerrato. Al di là della partecipazione a The Voice, Andrea raccoglie più di 320.000 follower e da un po’ di tempo propone settimanalmente un successo internazionale, da lui tradotto in italiano, arrangiato e cantato per l’occasione. 

In realtà Andrea è anche un cantautore e ha già un paio di dischi autoprodotti all’attivo. Trascorro un’ora in sua compagnia ed è davvero piacevole ascoltare il suo racconto e la sua esperienza lavorativa.

A distanza di qualche anno, che cosa ti resta di un talent come The Voice?

“The Voice è un talent un po’ differente; dopo numerose audizioni si giunge a una selezione dei cantanti e se uno o più tra i quattro giudici in gara sceglie di voltarsi perché ti trova interessante, entri in una delle squadre. Il meccanismo è un po’ “usa e getta” e anche se vai avanti, nell’arco di un mese e mezzo è tutto finito. Lo spettacolo si risolve nel gioco delle sedie che è l’aspetto più originale del talent. Da quella esperienza ho imparato a distinguere quel che appartiene alla musica da quello che è televisione”.

Come ha inizio la tua avventura nel mondo della musica?

“Ho iniziato nel 2005 con una band che si chiamava Cockoo e ho suonato con loro per una decina d’anni. Con loro abbiamo anche fatto due album, ma nel 2015 il gruppo si è sciolto e ho iniziato il mio percorso da solista”.

Il tuo percorso artistico s’intreccia con i tuoi studi e la tua esperienza lavorativa: vuoi parlarne? 

“Alla fine del liceo si è formata la band, ho fatto l’università a Torino e mi sono laureato in Disegno Industriale e subito dopo ho preso un master in grafica a Milano. Ho lavorato per cinque anni in un’agenzia di comunicazione, poi mi sono licenziato e ho fatto il free lance come grafico e soprattutto come social media manager; più semplicemente, quello che si occupa dei social network per gli altri. Ho imparato a fare quel che oggi faccio per me stesso e per gli altri, a preparare progetti di comunicazione. Era un lavoro bello, ma non lo sentivo come vocazione e ho scelto di dedicarmi alla musica: ho scelto il momento più difficile perché subito dopo è finita l’esperienza con la band. Ho iniziato a scrivere e a quel punto, dopo un anno un po’ “sospeso”, si è presentata l’occasione di The Voice”.

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 9 luglio 2021

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