Nella provincia di Asti non piove da oltre 50 giorni e dal 16 gennaio è in vigore lo stato di massima pericolosità per gli incendi boschivi deciso dalla Regione. Uno dei periodi secchi più lunghi degli ultimi 63 anni, come fa notare Coldiretti Asti sui dati di Arpa.
L’annata 2021 si era chiusa con un deficit pluviometrico di circa il 17% a causa delle scarse precipitazioni di dicembre: questo mese di gennaio molto secco, dove si sono registrati 4.6 mm di pioggia media, il 4° più secco dopo il 1989, il 1993 e il 2005.
“Una situazione che mette a rischio le coltivazioni che avranno bisogno di acqua per crescere al risveglio vegetativo favorito da un inverno mite” – spiega Marco Reggio presidente di Coldiretti Asti.
A preoccupare è anche lo scarso potenziale idrico stoccato sotto forma di neve nell’arco alpino, soprattutto nel nord Italia tra Piemonte e Lombardia, dove si registra un -57.6%.
“La siccità è diventata la calamità più rilevante per l’agricoltura italiana con un danni stimati in media in un miliardo di euro all’anno soprattutto per le quantità e la qualità dei raccolti. I cambiamenti climatici hanno modificato soprattutto la distribuzione sia stagionale che geografica delle precipitazioni anche se l’Italia resta un Paese piovoso con circa 300 miliardi di metri cubi d’acqua che cadono annualmente dei quali purtroppo appena l’11% viene trattenuto” – sottolinea il direttore di Coldiretti Asti Diego Furia.
“Per risparmiare l’acqua, aumentare la capacità di irrigazione e incrementare la disponibilità di cibo per le famiglie è stato elaborato e proposto, insieme ad Anbi, un progetto concreto immediatamente cantierabile nel PNRR” – afferma il direttore Furia.
Un intervento strutturale reso necessario dai cambiamenti climatici caratterizzati dall’alternarsi di precipitazioni violente a lunghi periodi di assenza di acqua, lungo tutto il territorio nazionale.
“Il progetto prevede la realizzazione di una rete di piccoli invasi con basso impatto paesaggistico e diffusi sul territorio, privilegiando il completamento e il recupero di strutture già presenti, progettualità già avviata e da avviarsi con procedure autorizzative non complesse, in modo da instradare velocemente il progetto e ottimizzare i risultati finali. -concludono Reggio e Furia – L’idea è di “costruire” senza uso di cemento per ridurre l’impatto ambientale laghetti in equilibrio con i territori, che conservano l’acqua per distribuirla in modo razionale ai cittadini, all’industria e all’agricoltura, con una ricaduta importante sull’ambiente e sull’occupazione”.