Marco Goria, figlio di Giovanni Goria e presidente della Fondazione a lui intitolata, ricorda i momenti più difficili della carriera di suo padre, dalla carica di Presidente del Consiglio alle dimissioni da ministro delle Finanze, dalle false accuse al clima di giustizialismo, fino alla sua morte, avvenuta nel 1994.
Giovanni Goria è stato il più giovane Ministro del Tesoro e il più giovane Presidente del Consiglio, in un periodo in cui il Paese si trovava in una grave situazione di finanza pubblica. Goria aveva alle spalle una carriera in cui aveva dimostrato il suo essere competente, era comunicativo, piaceva alla gente, era riuscito ad avvicinare la politica agli elettori. Piaceva al Paese, meno ai partiti.
Quanto i suoi pregi sono stati anche la sua condanna?
“La sua fu una carriera incredibile; riuscì, praticamente da ragazzo, a farsi spazio in mezzo a politici di grande e lunga esperienza. In un periodo in cui la politica era chiusa nei palazzi, mio padre ebbe il pregio di usare un linguaggio comprensibile, non politico, non tecnico. Veniva ospitato nei programmi televisivi e non solo nei telegiornali o nelle tribune politiche. Non penso però che i suoi pregi siano stati anche la sua condanna; alla fine Tangentopoli spazzò via tutti, indistintamente, e fu un’azione anche necessaria per ripulire quell’ambiente, nonostante abbia usato metodi che ritengo discutibili”.
Che cosa intende per “metodi discutibili”?
“Il pool di Mani Pulite usò la carcerazione preventiva per fare pressione indebita, quasi un ricatto per ottenere dichiarazioni. Ma il diritto penale non prevede questo. Attenzione: non voglio difendere una classe politica che di colpe ne ha avute. Ma sarebbe stato più corretto fare comunque dei distinguo tra innocenti e colpevoli, cosa che non è stata fatta. Per quanto riguarda la figura di mio padre, vennero tirate in ballo anche vicende vecchissime, ad esempio quella della Cassa di Risparmio, in cui mio padre denunciò un reato, ma da “guardia” venne dipinto come un ladro da un giudice, che è stato poi condannato per corruzione. Questa vicenda risaliva al 1976, non centrava nulla con Tangentopoli, ma fu sbattuta sui giornali nel 1992”.
Nell’atmosfera di giustizialismo in atto nel Paese, intorno a Goria si intensificarono voci di scandali e accuse di corruzione. La vicenda della Cassa di Risparmio prima, di molto precedente a Tangentopoli, quello relativo agli appalti dell’Ospedale di Asti, poi. Perciò il 19 febbraio 1993 si dimise da ministro delle Finanze per essere più libero di difendersi dalle accuse. Fu la scelta giusta?
“Fu una scelta obbligata, un’azione dovuta. Un Ministro che finisce in mezzo alle indagini, anche se è innocente, deve uscire dal Governo, soprattutto in un’epoca storica come quella. Nella lettera di dimissioni indirizzata al Presidente Amato scriveva di considerarsi “una persona perbene” e per questo non poteva tollerare di subire accuse ingiuste e infondate, senza potersi difendere. Da lì, la sua decisione, non senza rimpianto e amarezza, come scriveva lui stesso”.
L’intervista completa e molte altre interviste e approfondimenti in un ricco dossier dedicato a Tangentopoli in edicola con la Gazzetta d’Asti di venerdì 5 agosto 2022
Laura Avidano