Il commento alla parola di domenica 11 settembre 2022 a cura di Suor Maria Chiara del Monastero Cottolenghino  “Adoratrici del Prez.mo Sangue di Gesù”

La Parola di Dio che ci viene proposta in questa domenica è particolarmente ricca e coinvolgente. In tutte le letture è evidente che il nostro Dio, quello che Gesù ci fa conoscere, è un Dio che vede, e non in modo distaccato. Dio guarda, ascolta, si fa carico, ama. Dio che conosce il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome non dimentica una pecora che si è smarrita.

«Gli idoli delle genti hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono… » (Sl 114), invece Dio ci cerca, nonostante il nostro peccato: «quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (Lc 15). 

La prima parola che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato originale è «Dove sei?» (Gn 3,9), e quante volte lungo tutta la Scrittura leggiamo di questo desiderio di Dio di re incontrarci: “Il Signore si è affacciato dall’alto del suo santuario, dal cielo ha guardato la terra, per ascoltare il gemito del prigioniero per liberare i condannati a morte” (Sl 101).

L’uomo che prega sente di essere oggetto di questa attenzione particolare e di questo sguardo di predilezione, nonostante le sofferenze della vita: “i passi del mio vagare tu li hai contati, le mie lacrime nell’otre tuo raccogli; non sono forse scritte nel tuo libro” (Sl 55). Niente di quello che viviamo è inutile, tutto è presente ai suoi occhi.

E anche quando facciamo il male come gli Israeliti ai piedi del monte Sion, il Padre ci vede. Nella prima lettura, con Mosè il Signore dice: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice»… come a dire: «Non capisce il mio amore».

Il Vangelo ci propone la parabola della pecora smarrita, la dracma perduta e del Padre misericordioso che in modo molto chiaro ci parla di questo atteggiamento. Dio non ci lascia mai. Non possiamo nemmeno pensare che il peccato o il rifiuto ci allontanino da lui. Ce lo spiega il Sl 138: “Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti. Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra. Se dico: «Almeno l’oscurità mi copra e intorno a me sia la notte»; nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre sono come luce”.

E noi?

Se nessuna cosa al mondo ci può separare dall’amore di Dio che ci ha creati e si prende cura di noi, nessuno è nato per caso, è solo, disgraziato o abbandonato. Ciascuno di noi è amato in modo speciale e unico, almeno da Dio Padre. San Paolo in un brano della lettera ai Romani scrive: «Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?… Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, …né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore».

E vero! Dio, in Cristo, ci ha amati e ci ama… allora cambia tutto!

LETTURE: Es 32,7-11.13-14; Sal 50; 1 Tim 11,12-17; Lc 15,1-32