Da qualche giorno, in una teca nella biblioteca antica di Palazzo Alfieri, è esposto il manoscritto “Ferrero Ventimiglia”. Si tratta di un corposo volume di 375 pagine, rilegato in cuoio verde e diviso in tre sezioni. Venne dettato da Vittorio Alfieri in persona al suo segretario Gaetano Polidori durante la loro permanenza a Parigi nel 1789, in piena Rivoluzione Francese.
In ogni pagina, sono presenti cancellazioni, aggiunte, correzioni e annotazioni scritte di pugno da Alfieri. Nel manoscritto sono contenute le idee che vedranno poi la pubblicazione nei trattati politici alfieriani “Del Principe e delle Lettere”, “Della Tirannide” e “Panegirico di Plinio e Trajano”.
«È tornato a casa», è il commento di Mario Sacco, presidente della Fondazione Asti Musei, dopo l’acquisizione del manoscritto. Un’operazione non semplice, durata anni e conclusa solo pochi giorni fa. È stata proprio la fondazione presieduta da Sacco a chiudere la trattativa.
«Avevamo fatto fare una perizia del manoscritto – dice il presidente del Centro Studio Alfieriani, Enrico Mattioda – ed era stato valutato intorno agli 85 mila euro». Grazie alla volontà del collezionista privato, che lo possedeva, di rendere accessibile a tutti il prezioso documento e all’impegno della Fondazione Asti Musei, si è poi arrivati al prezzo finale di 36 mila euro. La somma è stata sostenuta dalla fondazione museale astigiana con il contributo della Fondazione Banca CR Asti, di cui è anche presidente Mario Sacco.
La collezione custodita dal Centro Studi Alfieriani si arricchisce così di un ulteriore tesoro. «Dalle annotazione lasciate dall’Alfieri stesso si può comprendere e studiare l’evoluzione del suo pensiero», spiega Mattioda. «Se Alfieri sulle prime fu attratto dalle ideologie rivoluzionarie – prosegue – dopo se ne ritrasse, disgustato dalla violenza e dal ritorno alla tirannia».
Un saggio dunque dal valore culturale e storico inestimabile. Dalla bozza iniziale che Alfieri dettò al suo segretario Polidori alla stesura finale la distanza è enorme. Particolarmente importanti sono alcuni fogli aggiunti alla sezione riguardante il “Della Tirannide” per descrivere l’oppressione dei molti e la violenza rivoluzionaria. Un ulteriore conferma che, dopo l’entusiasmo iniziale per la presa della Bastiglia, gli eccessi della Rivoluzione Francese obbligarono Alfieri a rimeditare e approfondire alcune sue idee politiche.
La storia del manoscritto è rocambolesca. Il suo nome deriva dalla famiglia Ferrero De Gubernatis Ventimiglia di Baussone che lo conservava nel suo archivio privato e dove fu ritrovato, nel 1980, da Roberto Marchetti, all’epoca direttore del Centro Nazionale di Studi Alfieriani. Fu esposto per la prima volta al pubblico in una mostra alla Biblioteca Reale di Torino nel 2001 e poi messo all’asta. Venne quindi acquistato dal collezionista privato che lo ha ceduto ora a Asti Musei. Il testo fu vergato su fogli sparsi e fu il primo proprietario, dopo l’Alfieri, che li fece rilegare a Parigi a inizio Ottocento.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato tra i primi visitatori del Centro Studi Alfieriano ad ammirarlo nuovamente, durante la sua visita in città di oggi.
Stemas