“Caporali, Uomini e Comunità”, è questo il titolo della conferenza che si è svolta mercoledì 2 ottobre al Cpia nell’ambito del Festival dei Popoli. Un tema importante visto che il fenomeno del caporalato rappresenta una forma di sfruttamento lavorativo che interessa diversi settori produttivi e che si manifesta con particolare forza e pervasività nel settore dell’agricoltura che coinvolge per la stragrande maggioranza lavoratrici e lavoratori stranieri. L’Astigiano, terra di vino, di azienda agricole e di tradizione contadina può dirsi libero da questa piaga sociale? Ecco, quindi, che questa tavola rotonda, moderata dal direttore della Gazzetta d’Asti don Dino Barberis, ci ha aperto gli occhi sulla nostra realtà attraverso i dati che sono stati presentati dai ricercatori di Iref Acli Gianfranco Zucca e Luigi Gilardetti che hanno dialogato con Luca Quagliotti, segretario generale della Cgil di Asti e con Claudio Riccabone, assessore del Comune di Canelli. È stata una ricerca fortemente caratterizzata da lavoro sul campo, con osservazioni nella zona della stazione ferroviaria di Asti e nei paesi limitrofi al capoluogo, con interviste ai lavoratori nel periodo della vendemmia (in collaborazione con la Flai Cgil di Asti). La stazione del capoluogo è uno dei luoghi di reclutamento di lavoratori a giornata più trafficato ed è possibile quotidianamente vedere i pulmini che caricano i lavoratori per portali nei campi. A Canelli la Caritas, ogni anno nel periodo della vendemmia, organizza l’accoglienza per decine di lavoratrici e lavoratori che altrimenti sarebbero costretti a bivaccare nei parchi cittadini. Questo processo è reso possibile dalla presenza delle cosiddette “Cooperative senza terra” che prestano “servizi” alle aziende agricole che necessitano di manodopera e che si occupano del reclutamento di manodopera. Ne emerge un contesto che presenta irregolarità e mancato rispetto delle normative sui contratti di lavoro, paghe che non vanno oltre ai 6/7 euro all’ora e il coinvolgimento di lavoratrici e lavoratori in condizioni di fragilità sociale che sono costretti ad accettare tali condizioni di lavoro. Dalle interviste si rileva inoltre che la comunità e il territorio astigiano tendono a giustificare e a normalizzare queste pratiche, considerando il lavoro in agricoltura come un mestiere storicamente e drammaticamente duro e faticoso, quasi come se le condizioni di lavoro si fossero fermate ai primi decenni del Novecento. Le istituzioni non sono oggi in grado di garantire i controlli dovuti con regolarità, soprattutto per problemi di carenza di risorse. In un contesto come quello descritto non possono essere esenti da colpe i datori di lavoro, la politica e le istituzioni che tendono a sottovalutare o peggio a negare il problema, timorosi dei possibili danni reputazionali che il territorio potrebbe patire. Quali pratiche possono essere agite per cercare di risolvere questo tremendo problema restituendo dignità a migliaia di persone? È necessaria una forte assunzione di responsabilità a partire dalle istituzioni e dai datori di lavoro, che dal lavoro di queste persone traggono profitto. Serve un patto etico tra tutti questi attori che si impegnano per garantire, anche a costo di rinunciare a qualche euro del loro profitto, al rispetto dei diritti di lavoratrici e lavoratori.