Il commento al Vangelo di domenica 2 marzo (Lc 6, 39-45) a cura di Andrea Brusamolin

Nel Vangelo di oggi Gesù, mediante questa parabola, ci mette in guardia sul modo in cui spesso ci concentriamo sugli sbagli e sulle debolezze altrui e su come questo, d’altro canto, comporti il trascurare i nostri errori e le nostre mancanze: ciò può ostacolarci nella nostra ricerca del Bene e indebolire la nostra capacità di essere Luce per il prossimo.

In primo luogo, esattamente come un “cieco” non si possa ritenere una guida affidabile per un altro “cieco”, allo stesso modo anche noi, se non siamo i primi a metterci in discussione e a lavorare su noi stessi, difficilmente possiamo considerarci adeguati nel “guidare” il prossimo sulla via del Bene.

Concentrarci sul male che viene agito intorno a noi, distogliendo l’attenzione dai nostri peccati, ci mette in una posizione per certi versi “comoda”: può essere più conveniente vedere negli altri quelle che, magari inconsapevolmente, sono proprio le nostre principali mancanze, così come, a volte, mettere in risalto le azioni negative altrui diventa il principale mezzo per “giustificare” le nostre. Tuttavia, esattamente come la bontà dei “frutti” rende conto della qualità dell’”albero” da cui sono stati colti, allo stesso modo anche dalle nostre parole, dai nostri comportamenti e soprattutto dalle intenzioni più profonde che motivano il nostro agire (quasi sempre note solo a noi stessi) traspare ciò che serbiamo nel nostro cuore, costituendo una prova inconfutabile di quale effettivamente sia il nostro impegno nel percorrere la via dell’Amore che Gesù ci indica con il suo esempio.