“Domenica, come è ormai risaputo, sulla pista del Palio di Asti è morto, con il collo spezzato nella caduta, il cavallo Mamuthones. Che cosa abbia posto termine alla sua esistenza, se la fatalità o la vanità umana, lo stabiliranno gli esperti. Quello che conta è che Mamuthones era in pista per mano dell’uomo e non per scelta: ciò fa si che la sua sia comunque una morte violenta. E chi era sulle tribune ha reagito come si reagisce di fronte ad una morte violenta, con sgomento, con commozione, con il trasporto con cui nel nostro immaginario guardiamo alla morte sul campo di un animale che per l’umanità è simbolo di bellezza, di fierezza, di coraggio, ma soprattutto di indomita dignità. Quasi una divinità quella che scalcia nell’aria i suoi ultimi attimi di fronte ad un pubblico che non è più abituato a trovarsi a contatto diretto con la verità: basta un attimo per trasformare una creatura splendida, piena dell’energia vitale e della gioia che esprimevano i tamburi e le chiarine fin dal mattino, in un cadavere da autopsia. E la responsabilità è tutta umana. Non mi sento di aggiungere altro: che siano le città a decidere, secondo la loro coscienza, Asti o Foligno, dove altri due cavalli sono morti di recente, come si deve decidere se essere responsabili dei propri territori o scempiarli, come si deve decidere dell’aria infetta che respiriamo e che respirano i nostri figli, il che significa decidere se dare loro in mano un mondo vivo o morto, attaccato a tradizioni antiche o pronto a rinnovarle, come si rinnovano continuamente la cultura e la storia nei loro aspetti migliori. Sotto lo splendido e innocente capo di Mamuthones si piega l’avanzare drammatico, faticoso e lento della nostra evoluzione, della nostra cura nei confronti del mondo che abitiamo e di noi stessi”. Daniela Grassi