Sono ben 1.049 i comuni del Piemonte in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, l’87% del totale. In 160 comuni piemontesi (il 78% di quelli analizzati in Ecosistema rischio 2013) sono presenti abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana e, in tali zone, in 111 amministrazioni piemontesi (il 54% del campione), sorgono impianti industriali che, in caso di calamità, compartano un grave pericolo oltre che per le vite dei dipendenti, per l’eventualità di sversamento di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni circostanti. Nell’8% dei comuni intervistati (16 amministrazioni) sono state costruite in aree a rischio idrogeologico strutture sensibili come scuole e ospedali, e nel 15% dei casi (31 comuni) sia strutture ricettive che commerciali. Anche nell’ultimo decennio sono state edificate nuove strutture in zone esposte a pericolo di frane e alluvioni in 11 comuni intervistati. Nel 21% dei casi (43 comuni) in tali zone sono presenti addirittura interi quartieri. Questo, in estrema sintesi, il quadro che emerge da Ecosistema Rischio 2013, il dossier annuale di Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile che mette ancora una volta in luce quanto sia pesante nel nostro Paese l’urbanizzazione delle aree più fragili ed esposte a rischio. “La decima edizione del rapporto Ecosistema Rischio ci ha permesso di tracciare un bilancio del decennio trascorso evidenziando come i dati relativi all’urbanizzazione delle aree a rischio siano sostanzialmente confermati di anno in anno –dichiara Fabio Dovana, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta-. Dall’analisi emerge come le modalità di gestione del territorio e di uso del suolo non abbiano visto una concreta inversione di tendenza, come si può notare sia dall’esiguo numero di delocalizzazioni di strutture dalle aree a rischio, sia dal fatto che, proprio in quelle zone si è continuato a costruire”. Il 78% dei comuni piemontesi intervistati (159 amministrazioni) ha dichiarato di svolgere regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica, e 148 comuni (il 72%) confermano che nei propri territori sono stati realizzati interventi di messa in sicurezza. Migliore la situazione per quanto riguarda l’organizzazione del sistema locale di protezione civile, fondamentale per rispondere alle emergenze in maniera efficace e tempestiva. Il 90% dei comuni (185 amministrazioni fra quelle che hanno partecipato all’indagine) si è dotato di un piano di emergenza da mettere in atto in caso di frana o alluvione. Tuttavia, soltanto 105 comuni tra quelli che hanno risposto al questionario (il 51% del totale) ha dichiarato di aver aggiornato il proprio piano d’emergenza negli ultimi due anni, il che significa che troppi avrebbero a disposizione un piano vecchio in caso di necessità. La legge 100 del 2012, attraverso la quale sono state disposte alcune misure per la riorganizzazione del sistema di protezione civile, ha nuovamente ribadito l’obbligo, per le amministrazioni comunali, di adottare un piano d’emergenza entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge stessa (ottobre 2012), mentre, ad oggi, alcuni comuni continuano a non adempiere a questo importante compito o dispongono comunque di strumenti non adeguati per affrontare eventuali emergenze nel territorio. 146 comuni (il 71%), inoltre, riferiscono di aver recepito il sistema di allertamento regionale: un importante passaggio per far sì che il territorio sia informato con tempestività su eventuali situazioni di allerta e pericolo. Le amministrazioni comunali piemontesi sono ancora in ritardo nelle fondamentali attività di informazione rivolte alla popolazione: se i cittadini sono informati, se sanno cosa fare e dove andare durante una situazione di emergenza, e se non si espongono a rischi ulteriori, certamente la gestione dei momenti di criticità è facilitata. Soltanto il 30% dei comuni intervistati (61) ha affermato di aver organizzato iniziative dedicate all’informazione dei cittadini, mentre 64 comuni (il 31%) hanno confermato di aver realizzato esercitazioni per testare l’efficienza del sistema locale di protezione civile. Un ritardo particolarmente rilevante visto che i piani d’emergenza, per essere realmente efficaci, devono essere conosciuti dalla popolazione. Complessivamente, sono ancora troppe le amministrazioni comunali piemontesi che tardano a svolgere un’efficace politica di prevenzione, informazione e pianificazione d’emergenza. Appena il 56% dei comuni intervistati (113) svolge un lavoro positivo di mitigazione del rischio idrogeologico, mentre il 7% delle amministrazioni campione dell’indagine (15) risulta gravemente insufficiente. Con le dovute diversità relative all’effettiva entità del rischio tra zona e zona, sono oltre novanta le amministrazioni comunali che risultano svolgere un lavoro di prevenzione del rischio idrogeologico ancora sotto la sufficienza. Dati che confermano come sia ancora lunga la strada da percorrere per garantire la sicurezza della popolazione da frane e alluvioni. Nella speciale classifica di Ecosistema Rischio 2013 sono soltanto sette a livello nazionale i comuni che raggiungono la classe di merito ottimo. Tra questi spicca Monasterolo Bormida (AT), dove sono state avviate le procedure per la delocalizzazione di strutture presenti nelle aree esposte a maggiore pericolo, è stata realizzata una manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica, sono stati realizzati interventi di messa in sicurezza e si è provveduto all’organizzazione di un efficiente sistema locale di protezione civile. “Un ambiente più vicino alla naturalità è anche un ambiente più sicuro –dichiara Marco Baltieri, responsabile Acqua e Difesa del Suolo di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta-. Costantemente siamo presenti con le nostre osservazioni quando viene presentato un piano regolatore o quando si discute di un intervento dentro o vicino ad un corso d’acqua. Purtroppo molti amministratori percepiscono ancora la nostra presenza e le nostre proposte come un ostacolo ma continuamente, eventi come quelli della Sardegna o della Liguria, ci ricordano che il rischio aumenta proprio quando vengono aumentate le superfici edificabili e si costruisce vicino ai fiumi. Di fronte a questa semplice verità perché non lavorare insieme (amministratori, associazioni, tecnici, ricercatori) per una svolta? Il nostro dossier documenta da un lato quanto è stato fatto, e dall’altro quanto resta ancora da fare. Per il Piemonte proponiamo di cominciare da fiumi e torrenti, a cui spesso abbiamo voltato le spalle, ricordandoci di loro soltanto quando di acqua ce n’è troppa o troppo poca. Se tutti insieme invece lavorassimo costantemente per riportare i corsi d’acqua a condizioni vicine a quelle naturali, con alvei sufficientemente aperti per assorbire le piene e una quantità d’acqua sufficiente a far vivere gli ecosistemi acquatici, potremmo dire di aver fatto un deciso passo avanti verso un territorio più bello, più adatto alla vita e più sicuro. Noi siamo disponibili ad accettare questa sfida e lo dimostriamo ogni giorno con la nostra presenza e le nostre proposte”. Il dossier completo è scaricabile all’indirizzo: http://www.legambiente.it/