Che sensazione dà dormire in un lenzuolo di canapa? ”Pizzica, è ruvido!” rispondono i bambini dopo essersi avvolti nel telo. Ma poi si lasciano incantare dalla stoppa che a poco a poco, mentre gira la ruota, diventa una corda.
Dopo la conversazione con Erildo Ferro sulla sua infanzia al fiume, le “Lezioni del Tanaro” promosse dalla rassegna Verdeterra, ideata dall’Associazione Comunica, hanno regalato ai bambini della scuola primaria Tartaglino di Isola il laboratorio sulla canapa condotto da Benedetta Fè d’Ostiani, titolare della fattoria didattica La Benedetta di Asti.
Un’altra storia del Novecento, quando nelle vasche naturali (marcite), ricavate lungo il corso d’acqua, si metteva a macerare la canapa: dopo una settimana si separava la fibra dal fusto, la si faceva asciugare sulla riva e poi la si pettinava con chiodi di ferro molto appuntiti.
I bambini, con i padri contadini, partecipavano direttamente al ciclo della canapa: tagliavano, per esempio, i lunghi fusti e soprattutto giravano l’enorme ruota per fare le corde.
“Usavano una maniglia e dovevano farlo sempre alla stessa velocità, altrimenti la corda veniva un po’ grossa, un po’ sottile e, così irregolare, non si riusciva a vendere” racconta Benedetta Fè d’Ostiani. “Chissà che fatica!” commentano i bambini, che poi paragonano i tempi della canapa con i loro: dopo la semina, il fusto cresce in 5 mesi, fino a raggiungere i 4 metri.
“Noi abbiamo 10 anni e siamo molto più piccoli…”.
E il Tanaro cosa c’entra nella storia della canapa? Il fiume era una presenza silenziosa che aiutava i contadini nel loro lavoro: l’acqua irrigava i campi, alimentava le marcite, dissetava adulti e bambini nelle giornate calde. Da molto tempo, ormai, la canapa non viene più coltivata lungo il fiume. Restano i sacchi, le lenzuola, gli asciugamani, le camicie da lavoro che Benedetta mostra agli alunni, che si fanno il solletico con la stoppa. E provano dal vivo a lisciare la canapa con il pettine dagli aguzzi denti di ferro e a girare la ruota.
Un pezzo di memoria del Tanaro sarà conservato dai bambini delle classi terza, quarta e quinta della Tartaglino. Con la speranza che il fiume, anche in questo lembo di terra astigiana, non venga solo raccontato ma torni a essere vissuto.