Si è discusso di donne e giornalismo stamattina, nel cortile di Palazzo del Collegio, con Alessandra Comazzi, Marisa Bianco e Silvia Rosa Brusin – rispettivamente vestite di verde bianco e rosso in un casuale omaggio al centocinquantenario dell’Unità d’Italia – nel corso di un partecipato incontro moderato da Beppe Gandolfo, sotto lo sguardo delle telecamere Mediaset.
Tra la relativa facilità di accesso alla professione e il funambolico equilibrio tra tempi di vita e tempi di lavoro, tra chi sostiene le quote rosa “almeno in assenza di meglio” e la constatazione di una sempre maggiore marginalizzazione della figura del giornalista (“Se non si ha potere economico non si ha potere contrattuale e di conseguenza peso sociale”, ha sottolineato Brusin) le tre giornaliste hanno portato la testimonianza della propria esperienza dando conto di un cambiamento molto marcato negli ultimi trent’anni.
“Quando ho cominciato io a La Stampa – ha detto Alessandra Comazzi -, assunta dal direttore Arrigo Levi, non c’era differenza di genere, nessuna discriminazione. Oggi invece si assiste a un maschilismo “di ritorno”, tipico di mestieri altamente competitivi come il nostro”.
“Oggi è sicuramente tutto più complesso per i giovani – ha sottolineato Bianco -. Diamo ai giovani meno possibilità di quelle che abbiamo avuto noi, eppure vedo arrivare all’Ordine domande di iscrizione di persone molto preparate, professionalità strutturate, con buone esperienze”.
“Questa professione sta cambiando in peggio – ha affermato Silvia Rosa Brusin -, si sta indebolendo. Ho visto giornalisti pagati 5 euro a pezzo, una volta si faceva una gavetta anche dura in vista di un’assunzione, ora al massimo si può aspirare a dinvetare dei bravi freelance. Ma non dimentichiamo che ci troviamo in un paese straziante”.
Una conclusione ha messo tutti d’accordo: le donne hanno fatto molta strada, in questi cento anni, anche se quel “soffitto di vetro” che ancora pesa sulle loro teste, tenendole distanti dalle posizioni apicali, tarda a dissolversi, la parola d’ordine resta per tutti, maschi e femmine, una sola: professionalità.
Intanto è arrivato anche il messaggio del ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna a suggellare il programma del festival culturale della Biblioteca Astense che si è aperto ufficialmente ieri ed è dedicato quest’anno al secolo della donna: “Consentitemi – scrive il ministro – attraverso questo breve messaggio, di ringraziarvi per come, in questa settimana densa di appuntamenti, affronterete la questione della centralità del ruolo della donna negli ultimi cento anni, nella nostra società. Vi ringrazio soprattutto di avere riunito a confrontarsi, come nelle passate edizioni della vostra iniziativa, personalità di spicco della cultura, intellettuali ed esperti.
La storia dell’ultimo secolo è fatta di tantissimi volti di donne, accomunate da un unico volere: quello di vivere in una società avanzata, nella quale il rispetto reciproco dei generi è paradigma di una democrazia matura. Sicuramente la nostra è una società migliore e più a misura di donna anche grazie a loro, per l’impegno costante con cui hanno sostenuto i loro ideali e sono riuscite a trasmetterli alle generazioni alle quali hanno ceduto il passo.
Quest’anno è il 150° anniversario dell’Unità d’Italia e, nelle numerose celebrazioni, è stato finalmente riconosciuto il giusto spazio al contributo delle donne, determinanti nella storia della nostra nazione. Nel mio discorso al Quirinale, in occasione dell’8 marzo, ho voluto citarne alcune: Armida Barelli, coofondatrice dell’Università Cattolica, sostenitrice del voto alle donne; Nilde Iotti, primo Presidente della Camera, rimasta in carica per ben 13 anni; Lina Merlin che partecipò alla stesura della Costituzione, Tina Anselmi, prima donna Ministro, che, con la prima legge sulle pari opportunità del 1977, rese un reato le discriminazioni sul lavoro e la differenza di retribuzione.
Grazie a loro, tra le tante, le donne sono uscite da quel limbo nel quale erano confinate. Grazie a queste signore, alle loro conquiste, oggi le donne possono godere degli stessi diritti e delle stesse possibilità degli uomini. Grazie a loro le istituzioni, in questo secolo, possono occuparsi di come migliorare la qualità della loro vita, proseguire questo processo virtuoso che consentirà loro di raggiungere finalmente le “pari opportunità”. Sicurezza, parità di accesso nel mondo del lavoro e nella rappresentanza politica sono le priorità. La legge contro la violenza sessuale e lo stalking, la nuova tipologia di reato che, al suo secondo anno, registra 547 denunce e 95 arresti in media al mese, è solo un esempio delle iniziative volte a dare alle donne maggiore tutela. Quindi il lavoro: in Italia l’occupazione femminile è ancora troppo bassa, soprattutto a Sud. Per questa ragione è importante investire – come stiamo facendo – sui servizi per l’infanzia e l’adolescenza. Ciascuna donna non dovrebbe essere costretta a scegliere tra lavoro e famiglia.
Quanto alla partecipazione, il Parlamento sta discutendo due provvedimenti importanti: le quote rosa nei consigli di amministrazione delle società quotate e partecipate e la doppia preferenza di genere nelle elezioni comunali e provinciali. Meccanismi, questi, che, senza imporre nulla a nessuno, consentiranno il coinvolgimento di più donne in mondi come quello dell’economia e della politica.
Una cosa è certa: discutere di questi temi, come state facendo voi, non è una “questione da donne”. Ma un argomento di vitale importanza per l’economia e la società del nostro Paese. Come ha detto più autorevolmente di me il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, “discutere la causa dei diritti delle donne non è solo la causa delle associazioni delle donne. E’ una causa comune, è una causa generale, è una questione di principio, è una questione di fondamento costituzionale”.
MN