“Io non credo che fare il poliziotto oggi sia come averlo fatto ieri. Ogni giorno e a tutte le ore, ho vissuto 23 anni del mio lavoro ascoltando gli stessi gruppi musicali sui canali criptati di una “radio portatile”: quei complessi composti dai soliti vecchi e noti cantastorie con le “stelle” sulle mostrine, che sia in ricezione che in trasmissione, erano sempre pronti ad urlare gli stessi ripetitivi e stonati ritornelli. Ogni buona occasione era e rimane una valida opportunità per ricordarmi che un tempo era tutta un’altra cosa, che ogni dovere si costruiva con maggiore motivazione perché alla fine i diritti ti venivano riconosciuti per davvero. La gavetta c’è stata, e tutti (o quasi) l’abbiamo fatta a suon di sere e notti, pattuglie e O.P., missioni e fuori sede, ma a cosa è servito se un Presidente del Consiglio oggi continua a ripetere che il nostro è un paese sicuro? Di quale sicurezza parla il giullare di Firenze quando dice che “le forze dell’ordine sono l’esempio della dignità lavorativa in un paese moderno, democratico e civile come il nostro, in cui la sicurezza rimane una necessità”? Abbi rispetto Matteo, abbi rispetto: se non per noi, oramai povere pedine arrugginite di una scacchiera logorata dai “tagli” del tempo, almeno per gli italiani a cui stai raccontando tutte queste bugie. Lavoriamo in abiti civili perché le vestizioni ordinarie relative alle divise sono insufficienti, appiedati perché senza parco auto evidentemente al collasso e con fotocopiatrici e computer “personali” troppo spesso acquistati coi nostri soldi. Effettivamente di quelli ne restano tanti a fine mese, così tanti da rinnovare il contenuto dei nostri sgabuzzini con i prodotti per le pulizie che quotidianamente facciamo ai nostri uffici! Io non credo che fare il poliziotto oggi sia come averlo fatto ieri, ma credo di potermi sentire orgoglioso di rimanere a galla sopra questa melma d’indifferenza dentro cui navighiamo e a causa della quale spesso, troppo spesso, dobbiamo giustificare il nostro operato sulla strada addirittura penalmente, oltre che disciplinarmente. Caro Presidente del Consiglio: sono prima poliziotto e dopo dirigente sindacale. Fiero dei gradi da Assistente Capo che luccicano d’onore sulle spalline della mia divisa, ma deluso dall’indifferenza ordinaria di chi mi governa: state assecondando e impoverendo di motivazioni i preposti alla tutela della sicurezza, state chiedendo agli italiani di non credere più nei principi della legalità perché oggi non sono più una priorità! Ci avete ridotto come una gloriosa ma vecchia Alfa Giulia d’epoca da rottamare, con i lampeggianti fulminati e le sirene malandate, ma col giusto restauro possiamo ripartire, ancora e più veloci di prima, per raccontare al paese che amiamo il nostro lavoro…e sappiamo ancora farlo bene, molto bene: è tempo di crederlo per davvero…fino in fondo e tutti insieme” Rocco Campochiaro, segretario provinciale vicario Ugl Polizia di Stato