Andare a vedere Bob Dylan è un po’ come andare a vedere la Gioconda: fai la fila per ore, e quando te la trovi davanti ti limiti ad ammirarla: dopo averne vista l’immagine stampata su libri e riviste per anni, sei contento di avercela di fronte.
E quando si è sparsa la voce che Dylan sarebbe arrivato a Barolo, ospite del festival Collisioni, da tutta Italia fans o semplici amanti della musica hanno iniziato ad organizzare il “pellegrinaggio”.
Quello di lunedì sera più di un concerto è stato un rito: Bob, classe 1941, è arrivato sul palco al tramonto in completo tuxedo e cappello bianco e, quasi noncurante della folla di oltre seimila paganti che sembrava debordare dalla piazza, si è posizionato dietro le tastiere (sul quale campeggia una statuetta Oscar portafortuna) per dare il la all’ennesima data di quel “Neverending tour” che porta in giro praticamente senza sosta da quasi venticinque anni.
Canzoni recenti e grandi classici sono stati riadattati in arrangiamenti rock blues che forse ne appiattiscono le identità, ma che sono necessari per far accomodare la voce di Dylan, ormai lontana dagli antichi splendori. Ma poco importa: il pubblico è felice di esserci, e saluta con entusiasmo pietre miliari come “A hard rain’s gonna fall”, “All long the watchtower”, “Highway 61 revisited” e una bella versione di “Like a rolling stone” . Il menestrello è schivo, non parla tra un brano e l’altro, e passa la maggior parte del concerto seduto al pianoforte sulla destra del palco, lasciando la ribalta alla band. Ma quando (per due sole canzoni) imbraccia la chitarra o fa risuonare la sua leggendaria armonica a bocca, la piazza esplode e gli perdona tutto.
La chiusura è affidata a un’irriconoscibile “Blowing in the wind” con un retrogusto d’Irlanda, e Dylan e la sua band di consumati professionisti lasciano la scena tra gli applausi, diretti verso l’ennesima tappa del loro giro senza fine.
Andando via da Barolo si ha la stessa sensazione che si prova uscendo dal Louvre: hai visto la Gioconda, forse te la immaginavi più grande, ma resta comunque un straordinario pezzo di storia.
Alexander Macinante