Il commento alla Parola di domenica 21 luglio 2019 (XVI Domenica del tempo ordinario) a cura di padre Gerardo Bouzada.
Non dimenticare l’ospitalità
L’ospitalità è stata parte dell’esperienza cristiana fin dall’inizio. Nella Lettera agli Ebrei leggiamo: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo”. Questa azione misericordiosa non è esclusiva del cristianesimo. In molti popoli e culture, è stato e continua ad essere presente. Negli spazi geografici aspri, difficili e stimolanti (deserti, steppe, fitte foreste…) l’esercizio dell’ospitalità è legato alla sopravvivenza.
Nella cristianità occidentale per secoli l’ospitalità è stata strettamente associata con i monasteri, soprattutto di sesso maschile, e più specificamente, con l’istituzione dell’osteria e del riparo di viaggiatori e pellegrini la cui funzione sociale e religiosa era quella di fornire cibo, protezione, riposo, assistenza e consolazione spirituale a coloro che erano in cammino.
Nel nostro tempo è un valore etico che punta nella direzione della guarigione di alcune vulnerabilità. Il vulnerabile si riferisce a ciò che è fragile e più specificamente a ciò che può essere ferito. L’ospitalità è nella linea e nell’orizzonte della guarigione di ferite e sofferenze. Nella prima lettura di questa domenica, Sara si sentiva molto vulnerabile perché il tempo passava e non rimaneva incinta e ogni giorno sembrava più messa da parte da Agar, sua serva. Agar aveva già avuto un figlio, Ismaele, dal suo marito. L’ospitalità che Abraham, il marito di Sara, ha dato a tre stranieri cambierà la situazione.
Ricevere qualcuno non è lo stesso che accogliere e integrare
Sulla strada per Gerusalemme, Gesù viene ricevuto, come ospite, nella casa di Marta, dove c’era anche sua sorella Maria. Come succede di solito quando si riceve una visita, Marta è preoccupata di accogliere il suo ospite. Gesù deve aver detto qualcosa di interessante. Marta voleva ascoltarlo, ecco perché chiede a Gesù di dire a sua sorella di aiutarla. La risposta di Gesù dimostra la sua grande sensibilità e delicatezza e al tempo stesso la guida: oltre a ricevere, dobbiamo accogliere e anche integrare. Marta ha ricevuto Gesù, Maria lo ha accolto e lo ha integrato nella sua vita.
Gesù è in viaggio verso Gerusalemme. La ragione del suo viaggio ha a che fare con la predicazione del Regno di Dio. Le ragioni per cui molti si mettono in cammino sono molteplici, ma nella maggior parte dei casi hanno a che fare con situazioni di povertà, guerra, esilio forzato, la persecuzione… migranti in cerca di un riparo, di una nuova casa dove vivere. I rifugiati costituiscono un dramma prioritario del nostro tempo.
Aprire i nostri confini a questa tragedia umanitaria del XXI secolo non è poco, ma non è nemmeno sufficiente. La vera solidarietà dovrebbe spingerci oltre il semplice ricevere e dare l’attenzione primaria, che sarà sempre necessaria, ma dovrebbe metterci in una situazione di ascolto per partecipare ai loro sogni e progetti perché quelli che vengono da noi, quasi sempre vulnerabili, possono arricchirci.
La parte migliore
Il Vangelo non è una dottrina, ma un percorso di guarigione e liberazione. Secondo San Paolo, il primo organo del corpo umano coinvolto nel Vangelo è l’orecchio, poiché è nell’ascolto che la fede, che abita in noi, può essere risvegliata. Il Vangelo è vita perché è la Parola di Dio. La fede risvegliata, vissuta e celebrata è ciò che crea e forma la Chiesa, comunità di credenti. Che le molte preoccupazioni non ci distraggano dal vero ed essenziale. Il mio spirito è accogliente e capace di integrare la Parola di Dio ed i vulnerabili?
LETTURE: Gn 18, 1-10; Sal 14; Col 1, 24-28; Lc 10, 38-42