Nella primavera 2007 il Fondo Giov-Anna Piras di Asti inaugurò una mostra fotografica dal titolo 99 Cents; una raccolta di fotografie contemporanee dalla quotazione d’asta esorbitante, venne esposta nei saloni della Fondazione, realizzando un percorso che celebrava l’ormai indiscusso avvento della fotografia nel mondo dei media figurativi. Gli esiti della fotografia contemporanea vennero affrontati secondo un approccio analitico, che metteva in risalto quanto i livelli di interazione semantica del crescente linguaggio espressivo, siano andati contaminandosi, progressivamente, di una componente narrativo-descrittiva –ovviamente, ogni opera secondo gli orientamenti concettuali dell’autore o i “dettami” della scuola di pensiero da cui deriva- che esula da quelli che erano gli assunti della fotografia fino a qualche decennio fa.
In sostanza, vennero evidenziate le modalità attraverso cui l’elaborazione fotografica tende sempre di più ad assumere il presupposto di unicità che è alla base del concetto di opera d’arte.
In generale, la comprensione di ciò che accade nel mondo dell’arte contemporanea è subordinata, in virtù della miriade di neo-mezzi espressivi e di codici di comunicazione in continua sperimentazione, ad un’indagine che ne illustri le radici; ciò vale, a maggior ragione, per la fotografia la quale, in virtù della relativamente recente acquisizione di “valore” che la investe –non solo economico, ovviamente!- necessita di un’introduzione propedeutica che ne evidenzi i difficili percorsi di appropriazione concettuale realizzati dai suoi pionieri.
Nella Francia degli anni ’30, Henry Cartier-Bresson era intriso di pittoricismo simbolista quando, acquistata la sua prima Leica 50mm che lo accompagnò in molti dei suoi indimenticabili scatti, si rese conto di quanto quella macchina fotografica fosse una sorta di “estensione del suo occhio”: quello sguardo sul mondo permeato di un’estemporaneità che è propria solo della fotografia, che ci permette di “dipingere” con lo sguardo e in cui oggi possiamo ritrovare le origini dell’approccio fotografico al mondo; lo stesso da cui, per Cartier-Bresson, scaturirono le riflessioni sul momento decisivo, che lo resero il padre del fotogiornalismo e che ne fecero il primo fotografo nella storia ad esporre al Louvre. Ecco allora come, sulla scia del primo step intrapreso in direzione dell’affascinante ricerca sulle ragioni del gradimento accordato alla fotografia contemporanea, la Fondazione Piras prosegue questa sorta di percorso “a ritroso” nella storia della fotografia del XX secolo per esplorarne peculiarità, incertezze e grandiosità.
A partire dal 6 giugno, le sale espositive del Fondo ospiteranno una grande retrospettiva dal titolo 99 Click. La 99 Cents di Gursky, che con la sua storia era stata un po’ pretesto deterministico per la precedente mostra, lascia così il posto ad una visione di più ampia al mondo dell’obbiettivo.
99 Click prevede la selezione di novantanove (+ uno!) capolavori di fotografia moderna che hanno segnato il percorso di evoluzione storico-artistica della fotografia del XX secolo, concorrendo a suggellare l’ingresso a pieno titolo del “nuovo media” nel novero delle tecniche espressive tradizionali.
La selezione di scatti raccoglierà fotografie di prestigio internazionale, tra le più famose e riprodotte a livello planetario; illustrerà i processi di elaborazione comunicativa che l’universo fotografico ha gradualmente affinato, proponendosi di restituire uno spaccato sugli sviluppi degli strumenti fruitivi ed espressivi attraverso un’analisi che ne sviscera le motivazioni, le modalità e gli orientamenti che l’hanno fatta confluire nella fotografia contemporanea.
Tra i 99 Click chiamati in causa per descrivere la parabola ascendente della fotografia nel XX secolo possiamo citare lo scatto “verista” d’oltre oceano Alabama 1938 di Walker Evans, il mitico Bacio all’Hôtel de Ville (1950) di Robert Doisneau, una delle foto più riprodotte degli ultimi sessant’anni, i Funerali di Gandhi (1948) del maestro della “street photography” Henry Cartier-Bresson, l’inquietante Gemelle di Diane Arbus o ancora uno dei celebri lavori in distorsione allo specchio di André Kertész. C’è anche la Migration Mother, Nipomo California del 1936 di Dorothea Lange, testimonianza documentaria sul trionfo dell’istinto di sopravvivenza umano filtrato dalla sensibilità psicanalitica dell’autrice.
La mostra sarà inaugurata in prima istanza presso i locali espositivi della Fondazione Giov-Anna Piras in via Brofferio 80 ad Asti, a partire dal 6 giugno alle 18 per poi proseguire con un percorso itinerante in Italia.
In esposizione: Claudio Abate, Berenice Abbott, Anselm Adams, Diane Arbus, Eugène Atget, Richard Avedon, Gianpaolo Barbieri, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Bill Brand, Rene Burri, Larry Burrows, Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, Mario Cresci, Mario De Biase, Robert Doisneau, William Eggleston, Elliott Erwitt, Walker Evans, Franco Fontana, Robert Frank, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Allen Ginsberg, Gianfranco Gorgoni. Charles Harbutt, H. P. Horst, Mimmo Jodice, Seidou Keita, André Kertész, William Klein, Alberto Korda, Josef Koudelka, Dorotea Lange, Jacques Henri Lartigue, Fulvio Magurno, Robert Mapplethorpe, Tina Modotti, Ugo Mulas, Martin Munkacsi, Helmut Newton, Irvin Penn, Franco Pinna, Man Ray, Alexander Rodchenko, Ivo Saglietti, Sebastiaõ Salgado, Jean Saudek, Ferdinando Scianna, Tazio Secchiaroli, Enzo Sellerio, Stephen Shore, Eugene Smith, Elio Sorci, Ettore Sottsass, Allen B. Stern, Joseph Stiglitz, Paul Strand, Nick Ut, Andy Warhol, Edward Weston, Minor White