Una scarpa femminile, fucsia, su uno sfondo celeste, sul quale spicca un fiore, delicato ma forte.
E’ la copertina di “Chiamami Clò”, la seconda opera della poliedrica autrice Monica Tedeschi. Una copertina non certo scelta a caso, che riprende i colori della casa editrice Letteratura Alternativa, che ha pubblicato il romanzo e che in parte rivela quello che, sfogliando le 70 pagine del libro, possiamo ritrovare. La capacità di essere donne, caparbie nell’inseguire la propria volontà andando controcorrente, alla ricerca di una possibilità per la raggiungere la propria realizzazione.
Una seconda opera dopo “Come farfalle sull’acqua”. Ci sono legami tra i due romanzi?
“Chiamami Clò è un romanzo che nasce molto tempo fa, dalle mie peregrinazioni fisiche e mentali. Non c’è un vero e proprio legame con il mio libro precedente, ma la volontà di dare un seguito alla mia prima storia, dando spazio ad alcune riflessioni che nascono in molti di noi. Protagonista è Clò, ma lo sono anche i luoghi e un’epoca particolare. In realtà la mia protagonista si chiama Clotilde e la scelta di usare un soprannome nasce proprio dal desiderio di accentuare il suo anticonformismo, la sua non omologazione a una realtà e anche un’epoca: quella degli anni ‘80 e della Milano da bere. Un periodo che per alcune persone, anzi per un certo tipo di persone, è stato mortificante. Clò non rientra negli stereotipi dettati da quell’epoca, è una ragazza fuori dal coro a cui quel mondo resta stretto e per questo decide di lasciare l’Italia, per non essere additata come diversa, per non essere condannata da una società omologata. Un viaggio, quello della mia protagonista, attraverso la vita e i luoghi come Londra, Kansas City, ma anche Padova”.
Sembra comunque quasi un romanzo in prima persona…
“Clò è la mia alter ego. Nel libro è presente quello che mi ha accompagnato e mi accompagna ancora oggi, un senso di ribellione molto intimo, del tutto personale. Poi ci sono aneddoti che appartengono alla mia vita vissuta. Insomma, sì Clò sono io, almeno in parte”.
Cosa si deve aspettare il pubblico?
“Io mi auguro di portare il lettore a riflettere. Vorrei che prendesse una posizione rispetto a ciò che scrivo; infatti il finale è aperto. Secondo me anzi un libro non dovrebbe avere una conclusione vera e propria ma dovrebbe lasciare al lettore la facoltà di decidere. Così è in Chiamami Clò. Alla fine del libro sarà il lettore a decidere se tutto ciò che ho scritto possa essere riconducibile a una specie di sogno, a un’allucinazione o alla realtà”.
L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 5 marzo 2021