Considerarlo un’opera unica non è eccessivo. Perché è vero che esistono altri sei codici miniati orientali in giro per il mondo, ma il Codex Purpureus Rossanensis è l’unico a essere arrivato fino a noi rilegato a libro. Non è un caso se, nel 2015, l’Unesco lo ha dichiarato Patrimonio Universale dell’Umanità. Achiropita Tina Morello non esita a definirlo “un capolavoro della letteratura evangelica mondiale”, aprendo la presentazione promossa lo scorso venerdì dall’associazione culturale La Città del Sole in collaborazione con la Biblioteca del Seminario Vescovile e Gazzetta d’Asti. Lei, originaria di Rossano Calabro, il Codex lo conosce a fondo, lo ha studiato per una vita. E lo sente come parte della sua terra e della sua esistenza, a giudicare dal trasporto con cui ne parla durante la conferenza.

Un evangeliario con fogli in pergamena corredato da 15 miniature, un unicum per tanti motivi. “È il primo manoscritto sul ciclo della vita di Cristo in nostro possesso”, rivendica Morello sottolineando la ricchezza cromatica e la rarità dei pigmenti utilizzati. Oltre al rosso ottenuto dal cinabro c’è anche la lacca di sambuco, mai rintracciata prima in un manoscritto. E a proposito di primati, in queste pagine si trova anche il primo notturno naturale della storia dell’arte, con la notte del Getsemani impreziosita dal lapislazzuli blu. Non solo, perché un’altra unicità sta nel fatto che gli autori delle miniature hanno attinto da diverse fonti evangeliche, dando vita a una concordanza visiva tra Vecchio e Nuovo Testamento: “Questo dimostra che le menti dietro al Codex non erano semplici amanuensi – evidenzia la ricercatrice -, ma profondi conoscitori delle Sacre Scritture”.

Menti e mani ignote, senza nomi né volto. Su un aspetto Morello non ha dubbi: il Codex fu realizzato nel 527 d.C., in un laboratorio ad Antiochia di Siria. È stata proprio lei a risolvere l’enigma della datazione grazie a una miniatura in cui sono raffigurati due volti corrispondenti a quelli degli imperatori Giustino e Giustiniano, gli stessi ritratti su una moneta del tempo.

Dei 400 fogli originari comprendenti i quattro Vangeli ne rimangono 188, quelli con l’intero Vangelo di Matteo e quasi tutto il Vangelo di Marco. A questi si aggiunge parte della lettera di Eusebio a Carpiano sulla concordanza dei Vangeli. Tutto il resto è andato perso: forse in un incendio, forse in un’altra delle mille peripezie attraversate nei secoli. Scampato a rapine, pericoli, distruzioni, probabilmente il Codex sarebbe andato incontro all’oblio se, nel 1879, gli studiosi tedeschi Oskar von Gebhardt e Adolf von Harnach non lo avessero scovato nella Cattedrale di Rossano. Come sia arrivato in Calabria resta un mistero. La pista più accreditata, secondo Morello, porta al 984 d.C., quando soggiornò in città l’imperatrice Teofano.

Storie, ombre e chissà quali altri segreti si nascondono tra le pagine di questo Codex dall’enorme valore storico, artistico e religioso. Un manoscritto in cui si assiste ai primi sussulti dell’arte bizantina, in un passaggio tra epoche capace di elevare ulteriormente il suo livello di unicità.

Alberto Gallo