Il gergo dei giovani è davvero una lingua a sé? In che modo dialoga la Chiesa oggi, con i propri fedeli, con le altre confessioni e le altre religioni? Tutti i giorni, tutto il giorno, stiamo sui social e parliamo, scriviamo, commentiamo, rispondiamo: gusto della convivialità o spietata caccia al like? Quando sembriamo non dire nulla – perché non possiamo, non vogliamo o non sappiamo cosa dire – cosa diciamo in realtà?
Sono questi alcuni dei quesiti traccia al centro di una due giorni intitolata “Dialogo e Linguaggi della Contemporaneità” inserita nel programma Fuori Festival di Classico, la rassegna dedicata alla lingua italiana omaggio al linguista canellese Giambattista Giuliani, che ha la sua terra d’elezione a Canelli, ma che propone eventi anche nei centri vicini.
E, infatti, la due giorni in questione si terrà il 7 e 8 ottobre a Loazzolo, paese agricolo sulla Langa Astigiana, a due passi da Canelli, nello splendido scenario del Forteto della Luja, l’azienda vitinicola condotta dalla famiglia Scaglione, al centro di una splendida oasi naturale del WWF che comprende oltre 100 ettari di boschi.
Previsti quattro eventi ideati, organizzati e condotti in accordo con cinque studiosi di settore: Gabriele Marino (semiologo), Ilaria Fiorentini, Caterina Mauri, Emanuele Miola (linguisti) e Simona Santacroce (secentista e studiosa delle religioni). Tutti gli interventi saranno incentrati sui diversi valori e sulle diverse forme del dialogo nella contemporaneità.
I quattro eventi sono stati inseriti nel programma dei corsi di aggiornamento per insegnati: la partecipazione, infatti, dà diritto a crediti formativi per tutti i docenti della Scuola Secondaria di Primo e Secondo grado.
Al termine di ciascuna relazione è previsto un aperitivo con prodotti di Langa e la degustazione dei vini del Forteto della Luja.
Il programma:
SABATO 7 OTTOBRE – DALLE 17.00 ALLE 19.00
Emanuele Miola Parlare tra generazioni. Il giovanilese è davvero una lingua diversa?
La “lingua dei giovani” è davvero incomprensibile e sgrammaticata, e quindi peggiore di quella che gli adulti parlano tutti i giorni o che si parlava cinquant’anni fa? Quei tecnicismi barbari che fanno rabbrividire genitori e insegnanti, quei simboli incomprensibili, quell’ortografia in libertà con cui i ragazzi comunicano su Internet e nei social network indicano davvero il declino dell’italiano? E quali sono i fenomeni sociali e psicologici che fanno sì che il modo di esprimersi cambi senza che le persone smettano di comprendersi? La lingua non è un oggetto unico e cristallizzato, ma un continuum di varietà, ordinate dal punto di vista sociale, i cui costanti e diseguali sommovimenti si spiegano nella dialettica tra errore, innovazione, uso e pertinenza.
Simona Santacroce Il popolo di Dio in dialogo. Quali lingue per la Chiesa oggi?
“Quale lingua, quale liturgia e per quale chiesa?”. È questa una domanda su cui la cristianità si interroga da secoli. Nel XX secolo il Concilio Vaticano II sembra porre fine alla questione, almeno per la Chiesa cattolica. Ma è proprio così? Il latino è diventato davvero lingua morta anche per la chiesa? E come rispondere alle esigenze di vecchie e nuove comunità che vogliono parlare a Dio nella propria lingua, che sia lingua di immigrazione o dialetto? Anche oggi, come fu secoli fa, la lingua della Chiesa può diventare seme di discordia per i popoli di Dio, ma soprattutto oggi, può diventare occasione di vero dialogo interculturale.
DOMENICA 8 OTTOBRE – DALLE 11.00 ALLE 13.30
Gabriele Marino È #virale. Quali sono le forme della convivialità online?
Cos’hanno in comune hashtag, faccine, video “che hanno commosso il Web”, la gif di John Travolta confuso, il Generatore automatico di post di Salvini, la bufala del ministro Kyenge che vuol dare in pasto i gattini italiani agli immigrati, il parrucchino di Donald Trump? Niente e tutto: sono le cose di cui parliamo – anzi, le cose che parliamo – quando siamo online. Stiamo online non solo e non tanto per scambiarci informazioni o contenuti, quanto piuttosto per dirci gli uni gli altri che ci siamo, che esistiamo, stiamo online per contarcela, per perdere tempo, assieme, ciascuno a suo modo, disegnando comunità effimere e fortissime. Gli studiosi la chiamano componente fàtica della comunicazione: come quando al telefono annuiamo con un mugugno per far capire all’interlocutore che lo stiamo ascoltando. Nel cortile globale delle bacheche social si dialoga, si sta assieme e si diventa comunità anche solo commentando La stessa foto di Toto Cutugno ogni giorno.
Ilaria Fiorentini e Caterina Mauri Eccetera eccetera. Che cosa diciamo quando non diciamo niente?
Tra le espressioni che utilizziamo quando vogliamo evitare di dire qualcosa, eccetera è probabilmente la più diffusa. Le sue funzioni sono molteplici: può servire a troncare una lunga citazione; può essere inserito alla fine di un elenco; può alludere a una conoscenza condivisa da entrambi gli interlocutori; infine, può sostituire una o più parole ritenute sconvenienti. Eccetera è un segnale che rimanda esplicitamente all’implicito, al non detto, attraverso il quale colmiamo dei silenzi che sono assenze di forme, ma non di significato. In letteratura come nella lingua di tutti i giorni, nel parlato e nello scritto, eccetera ci aiuta a dire molto, permettendoci di non dire niente.