I giurati della Casa Circondariale Quarto d’Asti intervistano gli scrittori del Premio Asti d’Appello 2013.
Per Letizia Muratori: Nel suo libro si parla di un corso di lettura. Per imparare a scrivere bisogna prima imparare a leggere bene per poter accrescere la propria cultura e forgiare il proprio senso critico. Qui in carcere noi leggiamo molto, ma anche scriviamo “per sfogo”, per disperazione, talvolta per amore… Alla fine non pensa che il rapporto lettura/scrittura rifletta anche questa regola di vita: per crescere realmente occorre essere umili? F.
Al signore in carcere rispondo che l’umiltà aiuta a scrivere meglio, è una conquista che arriva con la maturità della scrittura che naturalmente riflette quella della persona, l atteggiamento umile è anche una garanzia di lucidità che serve sempre per mettere a fuoco ciò che vogliamo raccontare.
Per Alessandro Perissinotto: Nel suo libro si parla di un uomo che scopre di essere in realtà qualcun altro: è una metafora per dire che in ognuno di noi c’è un’altra persona? M.
Non direi che in ognuno di noi c’è un’altra persona, ma che ognuno di noi ha una specie di doppio. Non un sosia in carne ed ossa, né un inquietante alter ego (come capita al mio protagonista), bensì una proiezione di ciò che avremmo potuto essere e non siamo. Ognuno di noi porta con sé, nella propria mente, l’immagine della persona che sarebbe stata se il destino avesse preso altre strade, se quel giorno, invece di essere in un certo luogo, fosse stato altrove. Io, ad esempio, ero alla stazione di Bologna il 1° agosto del 1980; se fossi partito per le vacanze il giorno dopo, oggi sarei un altro, o forse non sarei affatto, ma la proiezione di quell’altro è sempre qui con me.
Per Maurizio De Giovanni: Nel suo libro ambientato a Napoli negli anni ’30 un caso di omicidio di una prostituta dal nome Vipera. Se fosse ai giorni nostri oltre all’assassino chi sarebbe colpevole secondo lei? Chi va alla ricerca di Vipera o chi svolge il mestiere di Vipera? Sarebbe favorevole alla riapertura delle case di tolleranza? M.
Caro amico, quando avviene un omicidio, la peggiore ferita sociale che possa esistere, una ferita che non può rimarginarsi, non c’è mai un solo colpevole; tanto più se la vittima è una donna, portatrice di emozioni e passioni e per questo l’elemento più fragile, dolce e delicato della nostra società. Quando avviene un atto di violenza estrema su una donna nessuno di noi è innocente: dalle istituzioni ai vicini di casa, da quelli che per strada si fermano a guardare un litigio senza intervenire ai parenti e agli amici che consigliano di evitare denunce nella speranza di ricostruire qualcosa che è invece irrimediabilmente rotto. Personalmente ho grande pena per chi è costretta a vendere il proprio corpo a uno sconosciuto, in un atto che dell’amore non è che una pallida, deforme imitazione; e lo vende a chi cerca la perversione, il diverso, l’opposto, o è solo e disperato, e quindi è più pericoloso. E ho pena per chi è costretta a farlo in strade buie e senza controllo, senza difesa o protezione, offrendo il volto e il corpo al pericolo e allo sfruttamento vile. Vorrei che nessuna donna fosse costretta a vendersi; ma se deve farlo sì, vorrei che fosse almeno al sicuro dalla violenza assurda di cui noi uomini siamo purtroppo capaci.”
Per Lidia Ravera: Nel suo libro una bella storia d’amore tra ottantenni. L’ossessione dell’eterna giovinezza quanto influisce, oggigiorno, sugli amori tra persone mature? E.
Quella dell’eterna giovinezza, è vero, può essere una ossessione consumistica, e allora è triste. E perdente. E’ quella che ti porta a rovinarti con le chirurgia plastica o a mentire sulla tua età. Poi c’è l’eterna giovinezza come desiderio/bisogno di mettersi continuamente in discussione, di nutrire , sempre, quella curiosità per l’altro d a sé che ti conduce all’innamoramento. O forse no. Ma ti tiene comunque aperta la porta del sogno. E questo eterna giovinezza è una aspirazione nobile. E necessaria.
Per Anna Maria Falchi: Nel suo libro drammatici episodi costellano la vita della protagonista narrante. Ritiene giusto non tollerare i difetti altrui, tenendo presente che in ogni momento le persone care possono lasciarci? G.
Caro amico, che bella domanda. La necessità di scrivere questo romanzo è nata da una ricerca interiore travagliata e dolorosa. Per rispondere alla sua domanda, e le rispondo da donna, da madre e non solo da scrittrice: i difetti degli altri non devono essere solo tollerati, ma compresi e se possibile condivisi. Mi spiego meglio: vorrei che chi mi sta vicino, amici, familiari, il mio stesso figlio non si limitassero a tollerare i miei difetti, vorrei invece che mi aiutassero a comprendere dove sbaglio e perché sbaglio, vorrei essere accompagnata in questo percorso, vorrei inciampare, cadere a terra e con loro e grazie a loro rialzarmi, pronti a dirmi sinceramente quel che pensano, senza mentire e senza mai giudicare. Ma vorrei che lo facessero solo perché mi amano e hanno a cuore il mio futuro, e non pensando al fatto che prima o poi dovrò lasciarli. Solo l’amore e la condivisione colmeranno il vuoto dentro al quale altrimenti si anniderebbero profondi, quanto inutili, sensi di colpa
Per Fausta Garavini: nel suo libro 15 racconti per altrettante storie di donne. Non crede che nella vita di una donna l’ambiente familiare e culturale incida più che nella vita di un uomo? Avendo meno libertà degli uomini, meno possibilità di conoscere ambienti diversi, spesso meno istruzione , la donna è stata sempre più sottoposta degli uomini all’ambiente familiare. Senza contare il ruolo di sposa e madre che le era inevitabilmente assegnato fin dall’infanzia nella società tradizionale. Ora la situazione cambia, anche se con modalità diverse a seconda del contesto (cittadino o paesano), del livello economico,del livello d’ istruzione. Credo però che malgrado nuove aperture sociali e mentali, la donna sia, più d’un uomo, fisiologicamente implicata nella famiglia. Una sua protagonista porta avanti la passione della pittura per far fronte alle frustrazioni quotidiane, ma in questo caso si può parlare davvero di passione o non piuttosto di fuga dalla realtà? L.
Non parlerei di fuga dalla realtà, ma di chiave per capire meglio la realtà, per interpretare il mondo. Il passatempo (la pittura intesa come passatempo) è un’evasione, una fuga dalla realtà. Invece la passione della pittura, come tutte le passioni vere (scrittura,musica…), non è un tentativo di evasione ma di comprensione di se stessi e di quello che ci circonda.
Per Giovanni Cocco: Il suo un romanzo a episodi in cui risuona l’Apocalisse. Violenza della Natura e violenza dell’uomo: esiste un rapporto? M.
Caro M., “romanzo a e episodi” è una definizione che va bene per il pubblico italiano. Dall’altra parte dell’oceano da più di quarant’anni molti romanzi vengono scritti in questo modo (penso a Underworld di De Lillo, all’Arcobaleno della gravità di Pynchon, alla Trilogia di New York di Paul Auster): e il mio è proprio il tentativo di portare questo tipo di romanzo anche in Italia. La violenza è parte integrante della Torah ebraica, dei primi cinque libri della Bibbia. E così è nata l’idea della rilettura in chiave simbolica di quegli episodi. Il finale apocalittico è dettato dagli avvenimenti degli ultimi anni in cui violenza dell’uomo e collera della natura vanno di pari passo. Da Jane Austen alle sorelle Bronte in poi la natura è sempre lo specchio in cui si riflette l’anima dei personaggi. Pensa a Cime tempestose, oppure al romanzo gotico.
Per Vincenzo Latronico: Nella trama del suo romanzo in evidenza l’eterna truffa di promettere grandi utili ed interessi continua ad ingannare l’uomo. Forse è insito nella natura umana rendersi vittima di questo inganno accecando il proprio buon senso? V.
Be’, questa è la domanda cruciale del libro. Credo che la risposta del romanzo sia che dipende – è l’occasione che fa il falco, per così dire. E l’idea del mio libro era proprio mostrare come alcuni aspetti della nostra cultura– l’esaltazione dell’ambizione, il denaro come misura del successo, la competitività a tutti i costi, un certo tipo di mancanza di regolazione finanziaria – sembrano fatti apposta per creare occasioni di questo tipo. E quindi la morale, se c’è, è ambigua: da un certo punto di vista è giusto e importante “condannare” i falchi, ma d’altro canto continueremo comunque ad averne, finché la nostra società creerà le condizioni perché prosperino. In questo senso la responsabilità è di tutti, non solo di chi commette il tradimento.
Per Paolo Di Paolo: Nel suo romanzo: uno scambio di valige nel 1926 con una conseguente inaspettata relazione d’amore porta il protagonista a incontrare a Parigi il suo idolo intellettuale: Pietro Gobetti. Considerando la prematura fine di questo personaggio viene da chiedersi se per l’uomo colto e impegnato politicamente vengano prima gli ideali e le idee della propria salute e quindi della sua stessa vita ( e ne vale la pena?) E.
A volte, quella di un intellettuale è una sfida che mette in gioco, accanto alle idee, il proprio stesso corpo; è una sfida che mette a repentaglio la propria sicurezza fisica. E non è solo un rischio che viene da fuori, dagli altri: viene anche, come nel caso di Piero Gobetti, da sé stessi, dall’insofferenza ai limiti del corpo. Chiedersi se ne valga la pena è ciò che accade al personaggio di Moraldo, che considera eccessivi i rischi a cui Piero si espone. Ma sbaglia: c’è una componente titanica nell’eroismo, un’imprudenza che si sottrae – o dovrebbe sottrarsi – al giudizio di noi uomini comuni.
Per Carola Susani: Nel suo romanzo prevale l’inquietante figura di Raptor, maligno rapitore di ragazzini. Il suo carisma sui giovani seguaci è perché è un violento capobranco o perché rappresenta una forma primigenia di patria potestà? A.
Intanto grazie della domanda che mi sembra molto lucida. Per come la vedo io, di per sé il Raptor è un capobranco, violento, ma forse meno di tanti altri. E’ un poveraccio, un uomo desideroso di essere amato, desideroso di esser padre come molti e che cerca di vincere facile, è lo sguardo dei ragazzini, sono i loro bisogni a trasformarlo in qualcosa di più. Sono loro a farne figura di un padre di cui provano una grande nostalgia. Di un padre che si fa carico della responsabilità del potere, ma che al tempo stesso è così inerme da avere assoluto bisogno di loro. Bisogno di essere nutrito, accudito, scaldato, amato.