Si è aperta ufficialmente stamattina, nell’affollato cortile di Palazzo Alfieri, con la prolusione di Sergio Romano, l’edizione 2010 di Passepartout “1990: Oltre il Muro” organizzata per il sesto anno dalla Biblioteca Astense sotto la regia di Alberto Sinigaglia.
“Dal Muro al Krach” è il titolo dell’intervento dell’ambasciatore che ha ripercorso la situazione economica e politica internazionale nel ventennio compreso tra il crollo del muro di Berlino e il crollo dei mercati finanziari.
“La Fine della Storia”, così Francis Fukuyama, citato da Romano, descrisse la conclusione del ciclo storico culminato con la caduta del muro: si pensava avesse vinto la libertà, e che il mondo da quel momento sarebbe stato democratico e liberale, che queste regole avrebbero riempito il vuoto lasciato dai totalitarismi.
ECONOMIA – “Lo stato dirigista e l’ecomomia statalizzata – ha detto Sergio Romano – avevano dato risultati inferiori alle aspettative. L’alternativa a partire dal 1989 fu quella di applicare il manuale del buon capitalista, già in uso da un decennio in paesi come il Regno Unito e gli Stati Uniti. La promessa era che il mondo sarebbe diventato migliore“.
“Nei fatti, più che la democrazia e il libero mercato esplosero il fanatismo religioso e il nazionalismo etnico – guerre balcaniche, russe, africane, terrorismo mediorientale – . La fine della guerra fredda coincise con l’inizio delle guerre etniche e religiose, ma la nostra attenzione era puntata altrove”.
Nella ricostruzione di Romano, l’elezione di Bush nel novembre 2000 e la politica internazionale che perseguì dall’insediamento alla Casa Bianca nel 2001, esacerbarono il fanatismo etnico e religioso. Emblematica la risposta allo shock dell’attentato alle Torri Gemelle, il tentativo di mascherare il conflitto in Iraq come “guerra al terrorismo” e la copertura ideologica all’azione militare. “Gli americani – ha spiegato Romano – fecero pressione perché si tenessero elezioni democratiche ovunque per promuovere i paesi “ritardatari” al rango degli stati democratici. Dove si votò in libertà vinsero le forze fondamentaliste e radicali“.
POLITICA – Il caso della Russia ex sovietica, secondo Romano, fu esemplare con la nascita del fenomeno delle oligarchie che approfittarono del passaggio dall’economia di stato a quella liberale, dall’economia “di comando” a quella privata. Furono assegnati dei voucher che polverizzavano tra i cittadini gli asset dello stato, questi voucher vennero immediatamente messi sul mercato a prezzi bassi e le oligarchie ne fecero incetta, approfittando dei capitali del network delle casse di risparmio, acquistando poi giornali e banche con cui ripulire la propria immagine e i propri capitali.
Le bancarotte, sempre secondo Romano, da quelle sudamericane a quella thailandese, da quella coreana alla recente crisi greca, sono state accelerate dagli Stati Uniti, che nell’epoca Bush hanno lasciato che i mercati finanziari si autoregolamentassero.
E l’Europa? “Era stata il teatro della caduta del Muro, della guerra fredda, dell’unificazione tedesca, della disgregazione jugoslava. Ma ci sono anche molti lati positivi da non dimenticare: la fine dei regimi comunisti, il trattato di Maastricht del 1992, il mercato unico, il crollo delle barriere doganali e con esse del protezionismo visibile e invisibile. La stabilità dei cambi e i bassi tassi d’interesse. E non solo: avevamo otto trovatelli sui gradini della porta di casa, i Paesi ex satelliti con problemi di nazionalismo etnico e allineamento economico. Li abbiamo costretti, da Bruxelles, a comportarsi bene“.
“Abbiamo commesso degli errori – ha ricordato ancora Romano – uno su tutti quello di aver affrontato tardi il problema della Costituzione. Ci siamo divisi sulla guerra in Iraq, e non sul merito, perché tutti eravamo contrari, ma sull’opportunità o meno di allinearci all’alleato maggiore. Non abbiamo peso nell’area mediorientale, sulla questione palestinese, perché Israele non ci accetta come mediatori. Non abbiamo avuto un governo economico, laddove la Banca Centrale Europea ha avuto come unico obiettivo quello di impedire l’inflazione. Non ultimo, il fatto che l’europeismo appartiene a una generazione che ha vissuto gli effetti della guerra, così la Merkel non sarà mai europeista quanto Kohl”.
“Ma il processo verso l’integrazione – ha concluso Romano – continua, seppur a singhiozzo. Siamo stati più prudenti di Bush, abbiamo privatizzato e liberalizzato senza dimenticare l’economia sociale di mercato, e oggi l’America di Obama batte questa stessa via. Per questo continuo a credere nell’Europa, e un po’ anche nell’Italia“.