Pubblichiamo il diario di viaggio del nostro collaboratore Massimo Allario in Colombia
La Colombia è proprio il paese che non ti aspetti, uno di quei viaggi che nemmeno avevo pensato di fare, ma che si è rivelata un’esperienza unica grazie a Dennis Bejarano, antropologa colombiana, fondatrice dell’associazione Proxima Estacion Colombia. E’ stato un percorso diverso, abbiamo respirato, assaporato e vissuto quel mondo così lontano ma così ricco di meraviglie e di contrasti che la rendono un paese magico e singolare.
Siamo atterrati a Bogotà accolti dal sorriso di Dennis e di mamma Gloria che poi è il sorriso dell’intera Colombia, e ci siamo tuffati in questa vacanza partendo dai mille colori del mercato dei fiori passando alle mille varietà degli ortaggi e finendo ai mille sapori della frutta, un’altra novità sconvolgente, coi suoi sgargianti colori e forme desuete, sapori sconosciuti e profumi inebrianti.
Chi non ha mai assaggiato un succo di lulo, di granadilla, di gulupa, di feijoa, di uchuva, di arazá, di pitaya gialla o di maracuja, si è perso qualcosa di importante.
Probabilmente passare una giornata al mercato non è l’attività più turistica che si possa fare, ma è la migliore opportunità per conoscere la cultura colombiana attraverso il suo cibo, toccarlo, assaporarlo, apprezzarlo.
Il piatto tipico è la sopa ajiaco, una minestra di pollo e patate, servita con avocado fresco e pannocchie bollite.
Il cuore d’ogni città, da queste parti è una plaza Bolivar. A Bogotà la statua pensosa dell’eroe è circondata dai neoclassici palazzi che contano: il Parlamento, il Municipio, il Tribunale. Per non dimenticare la Cattedrale, quello che da queste parti conta di più. Siamo nella Candelaria, dove alloggiamo, il quartiere del centro storico, più affascinante e pittoresco perché caratterizzato dalle piccole vie in ciottolato, strette e intricate, e popolato da edifici antichi, coloniali, con i balconi con le inferriate e i tetti di tegole rosse.
Anche le strade e i muri parlano d’arte. Non faticherete a vedere sculture tra un tetto e l’altro, sentire musica provenire da qualche finestra e rimanere a bocca aperta davanti ai bellissimi murales. Da ricordare che a Bogotá quella dei graffiti è una forma d’arte legale e per questo i muri della città richiamano artisti di fama internazionale.
Per prendere confidenza con la capitale, il più bel panorama si gode dal santuario di Monserrate, tremila e duecento metri sulla testa dei dieci milioni d’abitanti: lì i fidanzati non vanno per scambiarsi eterno amore, ma per dirsi addio.
Ma Bogotà è anche la grande periferia con le favelas che qui chiamano “tugurios” e Dennis ci accompagna alla “Ciudad de Bolivar” abbarbicata su di un colle che si raggiunge in funicolare dopo un bel viaggio sui bus della transmilenio.
E’ proprio lì che incontriamo le attiviste dell’Associazione “Laudes Infantis” che ci portano a conoscere il grande lavoro che viene svolto con le comunità di alcuni emarginati della capitale, a partire dai bambini.
Il giorno successivo ci spostiamo cinquanta chilometri a nord di Bogotà, nella cittadina di Zipaquirà (città natale del vincitore del Tour de France, Egan Bernal), un cartello rivela che quel paesaggio da niente è lo scrigno di un tesoro: “Ciudad de la Catedral de Sal” (Città della Cattedrale del Sale). Nel cuore profondo e buio di una montagna, dove anticamente c’era una miniera di sale, si nasconde una cattedrale, così grande e maestosa da poter contenere oltre ottomila persone. La sua navata centrale è alta diciotto metri ed è lunga quindici. Sulla testa ha 125 milioni di tonnellate di sale. Vi si arriva percorrendo una galleria di oltre un chilometro nella quale si aprono quattordici grotte: le stazioni della Via Crucis.
Un po’ scavalcata e un po’ dribblata la Cordigliera orientale, dopo un centinaio di chilometri si arriva a Villa de Leyva. Onore ai suoi amministratori, nei secoli dei secoli, perché la cittadina è com’era: candida e fatata nella quiete dell’epoca coloniale, miracolosamente intatta. Il paese è piccolo, la piazza è grande: centoventi metri per lato, la più grande di tutta la Colombia.
E poi ad agosto c’è il festival degli aquiloni, che grazie al vento costante, volteggiano nel cielo con i loro colori sgargianti, divertendo grandi e piccini.
Dopo una notte in bus, ci ritroviamo a Popayan, la “ciudad” bianca, dove andiamo a vedere il Parque Caldas, intorno al quale furono erette le principali costruzioni religiose e governative, la Torre del Reloj, considerato il simbolo della città, il Puente de Humilladero, la Iglesia de Santo Domingo, in stile barocco,.
Il giorno successivo raggiungiamo il villaggio di Silvia a 2600 metri d’altitudine, dove,
ogni martedì, centinaia di indigeni Guambianos raggiungo Silvia, con ogni mezzo possibile, vestiti dei loro abiti tradizionali (gonna, sia per gli uomini che per le donne, poncho e bombetta) per vendere i prodotti della loro terra e interessanti articoli di artigianato locale.
Prodotto tipico della produzione agricola familiare colombiana e della gastronomia nazionale, la panela è un dolcificante naturale estratto dalla canna da zucchero.
Dennis ci accompagna nella “finca” (fattoria) della famiglia Burbano dove Leider, Fabian e i loro genitori ci conducono a fare un vero e proprio viaggio nelle tradizioni contadine che portano con sé la lotta quotidiana per la difesa della terra, dell’acqua e dell’incredibile biodiversità di questo paese.
E se l’altitudine toglie il fiato nel su e giù delle ripide stradine, lo zucchero grezzo e il succo di limone di un’agua de panela sono una buona scusa per una sosta: tanto qui non c’è fretta, il tempo scorre lento.
Se poi la si accompagna con un’ “arepa” calda (gustosa focaccina a base di farina di mais) farcita al formaggio, la libidine è doppia.
Il nostro “tour” prosegue verso Salento, un delizioso villaggio con le sue case basse di legno e paglia, nel dipartimento del Quindio a 2200m, e la vicina Valle del Cocora. Il modo più scenografico per ammirare Salento è dall’alto, giungendo nel villaggio da un punto panoramico conosciuto come El Mirador.
Salento è il punto di partenza ideale per un’escursione nella valle dove si trova l’albero nazionale, la palma da cera (Palma de cera de Quindio).
Alte fino a settanta metri, hanno un tronco affusolato ad anelli, ricoperto di cera e con i loro ciuffi di foglie verdi fanno il solletico alle nuvole.
Quella delle palme della Valle del Cocora è una storia che merita di essere raccontata. Fino a non molti anni fa, le foglie delle piante più giovani venivano tagliate e utilizzate durante le festività cristiane della Pasqua. Questo rituale aveva portato la popolazione di palme quasi all’estinzione, finché nel 1985 il governo colombiano emanò una legge trasformando la Valle del Cocora in un parco protetto.
E’ stato un giro incredibile coronato dalla vista di sua maestà il Condor che ha sorvolato le nostre teste, vi assicuro che vedere dal vivo quelle ali aperte è stata un’emozione unica ed irripetibile.
Finalmente raggiungiamo la regione del caffè e ci rechiamo in una piccola “finca cafetera” gestita dalla famiglia Morronés che non è solo la scoperta di tutto ciò che c’è dietro una tazza di caffè, è soprattutto la condivisione e il tentativo di comprendere la realtà di tante famiglie colombiane che vivono con passione, orgoglio e sacrificio questa tradizione che rende il loro paese famoso in tutto il mondo.
Tutta la Colombia è pervasa dell’aroma di caffè che non è solo la bevanda più diffusa, ma è un vero e proprio rito. Infatti un tinto (una tazzina di caffè nero) si trova ovunque e non si nega mai a nessuno.
Il turismo comunitario, sostenibile e responsabile, in Colombia ha la sua massima rappresentazione nell’organizzazione Yarumo Blanco, un gruppo di giovani e donne che gestisce con passione e professionalità il Santuario di Flora e Fauna dell’Otún Quimbaya, nella regione del caffè. Un’oasi di tranquillità immersi in una natura rigogliosa, che noi abbiamo il piacere di visitare.La sua attrazione principale è la sua biodiversità, con le sue scimmie urlatrici, le cui grida possono essere ascoltate fino a oltre 14 km, i suoi orsi dagli occhiali, il tapiro della brughiera, le aquile, i cervi e numerosi uccelli.
Il nostro viaggio volge al termine, ma facciamo in tempo a fare il tragitto verso Pereira a bordo di una tradizionale Chiva, il bus tipico colombiano, torniamo in aereo a Bogotà dove ci gustiamo ancora due chicche il Museo Botero e il Museo dell’Oro.
Il Museo Botero venne fondato nel 2000, anno in cui l’artista cedette 123 delle sue opere (caratteristici i suoi personaggi dalle forme arrotondate) e 85 della sua collezione privata di artisti dalla fama mondiale, quali: Dalì, Picasso, Renoir, Monet e tanti altri.
Il Museo dell’Oro consiste in due padiglioni (il vecchio e il nuovo) all’interno dei quali sono raccolte circa 35.000 opere e manufatti in oro che raccontano a 360° la storia di tutte le culture precolombiane.
Ce ne torniamo a casa con la certezza di aver arricchito il nostro bagaglio avendo conosciuto un mondo particolare e inatteso e con la sensazione che un giorno ci torneremo…
Chi volesse provare le stesse sensazioni, può contattare Proxima Estacion Colombia, associazione di turismo responsabile e sostenibile, sul sito web o su fb o chiamare i numeri 3271789915 / 3281070787.
Massimo Allario.
Gentile Massimo, ho letto con interesse il tuo articolo. Ho scritto la guida Polaris sulla Colombia, amo la Colombia e l’America del Sud, quindi mi fa davvero piacere leggere di esperienze positive come la vostra. E’ un paese da cui si torna sempre carichi di stupore per l’accoglienza e la simpatia della gente oltre che per tutto ciò che offre come natura, storia e cultura. Se posso consigliare, io direi una volta arrivati a Popayan di investire assolutamente un paio di giorni per visitare San Agustìn, un luogo magico di vita e morte con splendide tombe e statue monolitiche in un magnifico paesaggio, tra l’altro patrimonio dell’UNESCO. Invece la miniera dentro cui è stata scavata la cattedrale di sale di Zipaquirà era sfruttata già prima dell’arrivo dei conquistadores, ma c’è tuttora, si può visitare e il sale viene estratto con mezzi modernissimi.