Continua il diario del nostro vescovo Marco Prastaro in vacanza (si fa per dire) nelle terre del Kenya che l’hanno visto impegnato per ben tredici anni come missionario Fidei Donum. Panorami e animali, ma soprattutto impegno episcopale con incontri, liturgie festose e anche cresime e prime comunioni.
Mercoledì 17 luglio
Oggi ci spostiamo a Kisima, dove ora abitano i due preti della parrocchia di Lodokejek, e da lì ci muoveremo nei prossimi giorni.
La diocesi di Torino arrivò a Lodokejek nel 1985, quando la parrocchia venne eretta. L’abbiamo gestita per 25 anni e nel novembre del 2010 fu consegnata al clero locale. Toccò a me gestire il passaggio come ultimo parroco torinese. Allora era composta da 3 comuni, 5 chiese in cui si celebrava messa e 36 piccole comunità, sparse su un territorio relativamente piccolo di 400 chilometri quadrati. Oggi è rimasta invariata se non nel fatto che i preti non abitano più a Lodokejek (dove non c’è l’elettricità né acquedotto, non vi passano vie di comunicazioni né vi sono negozi) ma si sono spostati a Kisima dove nel 2010 costruimmo la nuova casa per i preti.
Percorriamo lentamente i 17 km che separano Kisima da Lodokejek. Trovo che il paesaggio sia molto cambiato, hanno costruito molte case, non più di pali e ondulina, ma di mattoni e col tetto “vero”.
Arriviamo alla missione. Davanti alla chiesa una doppia fila di donne canta “benvenuto vescovo Marco”. Volti noti e qualcuno dimenticato mi fissano e mi sorridono. In sacristia ci cambiamo e quindi iniziamo la messa. Ci attendono 102 cresime!
Dopo i canti d’ingresso, Asia, la responsabile della comunità, mi saluta e poi anche padre Marko mi da il benvenuto. Mentre parlano stento un po’ a controllare l’onda di emozioni che mi travolge.
La Chiesa è strapiena; sul lato destro ci sono le donne, sul lato sinistro tutti schiacciati i ragazzi della scuola, mentre gli anziani stanno più rilassati nell’ultima fila di posti.
Jacob il catechista traduce in Samburu. I canti si alternano fra il coro dei ragazzi della scuola che canta in Kiswahili e quello delle donne che canta in Samburu.
Per le cresime i padrini e le madrine sono una decina, schierati vicino all’altare di modo che quando arriva uno dei loro figliocci, con passo lesto si portano dietro di lui o lei e mettono la mano sulla spalla. Ad un certo punto per un ragazzo manca il padrino, allora chiediamo a don Valerio di fare lui.
Nel lungo fluire dei cresimandi, riconosco volti conosciuti: Nanai, donna dai tratti rudi che di recente ha perso il marito, la Mamma di Raffael, oggi vice preside, poi riconosco Agnita, ora fa la prima media, la ricordo piccolina, a fine messa mi prendeva per mano e insieme a me veniva fino davanti a casa nostra dove attendeva paziente che gli dessi una caramella, o un po’ di torta e quando non avevo nulla andava bene anche un pezzo di pane. Poi ricevuto il regalo mi sorrideva e se ne andava, il tutto avveniva sempre in un rigoroso silenzio. Riconosco Maria, mi ricordo il giorno in cui è nata, ci chiamarono di sera, era il 31 dicembre, perché la mamma non riusciva a partorire, quando però arrivammo con l’infermiera era già nata, la mamma morì alcuni anni dopo.
Dopo le cresime padre Marko chiama gli anziani a benedire i cresimati.
Al ringraziamento le donne si scatenano con un canto in Samburu in cui tutti si alzano e iniziano a danzare.
Dopo due ore e mezza la messa finisce e ci spostiamo davanti alla chiesa per i saluti ed i regali. Iniziano i ragazzi della scuola che recitano un poema nel quale elencano tutte le cose che abbiamo fatto per loro, alcune a dire il vero non le ricordo proprio, poi fanno un canto di ringraziamento e quindi ci consegnano i regali: una cintura tutta decorata di perline ed una coperta tipica con cui si vestono gli anziani.
Dopo di loro tocca alla comunità “Maria Goretti”, loro cantano in Samburu e quindi bisogna alzarsi e danzare con loro. Fortunatamente bisogna solo fare qualche leggera flessione sulle ginocchia e dondolare avanti e indietro al testa. Anche loro ci fanno un regalo, altra cintura e altra coperta. Infine sono i ragazzi della scuola superiore: canto in Inglese ed ultima cintura. Quindi iniziamo con le foto, tutti vogliono la foto e vogliono che indossi il “cappello da vescovo” (la mitria). Le foto sono l’occasione per salutare personalmente tante persone. Molti erano nostri ragazzini, ora sono sposati con figli ed hanno responsabilità come ad esempio Rafael che è vicepreside della scuola, Robin che è funzionario governativo, Saledi che fa il servizio di trasporto… padre Marko ad ognuno di loro precisa che si sono sposati in Chiesa.
Dopo le molte foto, andiamo a pranzo nel salone parrocchiale: riso, capra in umido, patate e cavoli per tutti. Le donne si danno un gran daffare per servire tutti, mentre gli uomini sono seduti da tempo in attesa di mangiare il cibo che trabocca dai loro piatti.
Dopo il pranzo passiamo al dispensario dove ora lavora Philip Lemerdete, un ragazzo di qui. Sua mamma era una donna matta che girava per strada tutto il giorno. Lui invece è sempre stato un ragazzo calmo, posato e riflessivo.
Passiamo quindi a scuola che per tanti anni è stata uno dei nostri primi impegni. Oggi conta 630 iscritti, i dormitori traboccano, solo le ragazze sono 130 a fronte di 60 letti, ed è una delle scuole coi migliori risultati. Questi risultati sono una sorta di miracolo poiché pur avendo 16 classi hanno solo 7 insegnanti più 3 volontari che aiutano a fare le lezioni.
Dopo il giro a scuola salutiamo e risaliamo in macchina. Prima di tornare però passiamo al fiume a vedere il ponte pedonale. Fu l’ultima opera che abbiamo fatto, quando partii non era ancora stato posto sui due pilastri che lo sostengono. Più volte in questi giorni ho ricevuto ringraziamenti per il ponte che tutti chiamano “il ponte di Marco”.
Facciamo cena con il comitato di Kisima: mangiamo, ricordiamo le suore che sono passate di qua, ridiamo insieme. Quando giunge il momento di andare i membri del consiglio si scambiano un’occhiata e Mwangi, il loro presidente, inizia un lungo ed articolato discorso di cui non si comprende quale possa essere il finale, ma alla fine arriva al dunque: stanno pensando di costruire una chiesa nuova e mi chiedono di parlarne agli amici italiani così magari riceveranno qualche aiuto.