Il commento al Vangelo di domenica 27 aprile (Gv 20,19- 31) a cura di Chiara Massocco

Gesù mostra ancora una volta le sue ferite, che non sono segni di sconfitta, ma di amore e di vittoria sulla morte. Anche le nostre vite sono segnate dalle ferite, ma è in esse che possiamo trovare un punto d’incontro con Dio; è proprio lì che Gesù desidera entrare, non per giudicarci, ma per guarirci, perché Lui stesso così ha fatto: si è lasciato svuotare per riempire la nostra vita. Gesù invita Tommaso a toccare le sue ferite per mostrarci che ha scelto la croce per essere vicino a noi nel dolore e non lasciarci mai soli. La gioia, infatti, non nasce solo nel giardino dell’amore, ma anche sul terreno del dolore. È attraverso le difficoltà che possiamo sperimentare la profondità dell’amore di Dio. Per questo, Gesù ci invita a non chiederci quali vuoti abbiano lasciato le ferite, ma a riflettere su ciò che esse hanno aperto. Una canzone dice: “C’è una sola verità, Gesù Cristo la vita dà”, ed è proprio ciò che sperimentano i discepoli quando il Risorto si presenta in mezzo a loro, non nascondendo le ferite, ma mostrandole come segno di vita donata per amore. Anche noi, come Tommaso, siamo chiamati per nome, perché Gesù vuole donarci un’altra vita nel Suo nome: una vita nuova che può nascere solo se siamo disposti a lasciare che Egli stesso sia il giardiniere del nostro cuore. Dio, infatti, ci invita a riparare e ricostruire ciò che si è rotto, trasformando ogni evento della vita in un’occasione per amare di più.  Quando Gesù dice ai discepoli: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”, ci chiama a credere anche senza vedere, a fidarci di Lui anche quando non comprendiamo pienamente la sua volontà affinché, nonostante le fragilità, i dolori e le paure, possiamo diventare grandi nell’amore, in Lui e per Lui.