E’ appena circolato sulle reti sociali un appello al Governo, titolato “Fare presto e bene ! Non possiamo più aspettare se vogliamo evitare una catastrofe sociale”. Si rivendicano misure di sostegno al reddito per il terzo della popolazione che già prima della pandemia era a rischio di esclusione sociale, e per il quinto in più che la pandemia ha esposto allo stesso rischio ( http://www.numeripari.org/wp-content/uploads/2020/04/RNP-FORUMDD_FINALE.pdf). Il Forum Disuguaglianze e Diversità e la Rete dei Numeri Pari, che hanno redatto l’appello, sono aggregazioni associative di lungo corso, titolari di numerose e sperimentate esperienze di mutualismo. Sono le stesse, più o meno, che nelle loro proliferazioni astigiane, hanno promosso, durante il mese di novembre dell’anno appena trascorso, il convegno “Per amore della terra, giustizia sociale e giustizia ambientale”. Si era detto nel corso di quel convegno: «Per uscire dalla crisi, l’umanità ha bisogno di contrastare e ribaltare tutti i punti cardine del paradigma neoliberista. Da quello che teorizza il valore competitivo della diseguaglianza, come motore della crescita e dello sviluppo a quello che trasferisce il rischio d’impresa al mondo e al suo eco-sistema. Solo nelle periferie del nostro paese e del mondo, dove il carattere violento e predatorio del neoliberismo è più manifesto, si possono accumulare forze per costruire questa alternativa” (Di Marzo, responsabile delle politiche sociali di Libera e della Rete dei Numeri Pari). Tale approccio che, a novembre, aveva registrato un innegabile interesse e si era riproposto più concretamente, in varie iniziative di “movimento” dell’associazionismo cittadino, non aveva per nulla scosso l’ordine “normale” delle cose, in una città largamente attraversata dai flussi della economia neoliberista e governata da una rappresentanza sempre più assoggettata ai poteri sovranazionali. Insomma, città da vendere e da mostrarsi in centro, con relativi servizi direzionali, musei, banche e residenze per ricchi; città da de-territorializzare e ghettizzare, in periferia con residenze per poveri, carceri e grandi empori. Scuole e servizi pubblici, un tempo cardini della cittadinanza, in pessimo stato. Insomma, l’auspicato e argomentato cambio di paradigma, dopo quel convegno, continuava ad essere una questione per cittadini liberi, consapevoli nonché amanti della Costituzione e dell’autogoverno. Più numerosi di qualche anno prima, ma pur sempre una minoranza di cittadini. Da qualche settimana a questa parte, una visione delle cose che poteva sembrare ideologica, intenzioni che potevano sembrare idealistiche o velleitarie, vale a dire un atteggiamento che nella migliore delle ipotesi veniva classificato generoso ma poco futuribile, si è improvvisamente rivelato d’attualità. E ciò non è avvenuto in tempi storici, nel corso di una dialettica più o meno conflittuale con gli interessi e i poteri dominanti, ma, a dispetto di questi ultimi, nel tempo, drammaticamente sospeso, della presente pandemia. Eppure, prima della pandemia, le comunità scientifiche non hanno lesinato con gli avvertimenti, mentre minoranze consapevoli, nel nostro Paese e nel mondo, con pratiche oppositive e non conformi, andavano disvelando gli esiti catastrofici del paradigma sociale dominante. Ora, in questo tempo sospeso dalla pandemia, quando passato, presente e futuro, si affacciano insieme sulla soglia delle coscienze personali e collettive, rielaborare quegli avvertimenti e sviluppare quelle pratiche oppositive e non conformi appare un compito tutt’altro che facile. Qualcuno afferma che non è opportuno, perché quando la casa brucia bisogna spegnere l’incendio e salvare il maggior numero di vite umane. Perché l’incendio è scoppiato e così impetuoso e quali macerie lascerà sono conti che si faranno dopo. Nondimeno dobbiamo assumercelo questo compito, rifiutando la metafora che cancella passato e futuro. Dobbiamo assumercelo, per evitare che quei bagliori di “coscienza di specie”, che illuminano i volti e i balconi di messaggi bene-augurali, siano effimeri o peggio, siano oscurati dalla retorica del ritorno alla normalità, che è un altro modo di cancellare il futuro. Dobbiamo farlo per evitare che gli invisibili e clandestini, diventati improvvisamente necessari nelle filiere lunghe della produzione mercantile, tornino nell’oscurità da cui la pandemia li ha provvisoriamente riscattati.
Sappiamo bene che i “cancellatori” sono tra noi, e sulla soglia di questo tempo sospeso possono intrecciare il loro amore per le creature con il nostro, possono frequentare il nostro stesso superstite negozio di prossimità e possono sentirsi l’animo turbato esattamente come noi, perché il cavaliere nero, sulla sua nera cavalcatura, fa solo distinzioni di specie. Ma non possiamo dimenticare che, prima della pandemia, gli odierni “cancellatori” accettavano gli esiti peggiori del capitalismo neoliberale, alcuni considerandolo uno stato di natura, altri accettandolo con l’animo turbato e con l’idea di poterlo contenere nei suoi esiti peggiori. Non ha funzionato, adesso il re è nudo. Il capitalismo alla sua ennesima metamorfosi è quello della precarizzazione sempre più estesa del lavoro, delle disuguaglianze sempre maggiori, di un modello di sviluppo predatorio e violento, perché mette “a valore” la vita stessa, perché considera la natura un magazzino inesauribile di merci. Dobbiamo sostituire quel modello, dobbiamo “Fare presto e bene ! Non possiamo più aspettare se vogliamo evitare una catastrofe sociale”.
Per il Coordinamento Asti-Est: Sottile, Clemente, Rasero, Negro, Viarengo, Borra, Gullino. Per Libera: Sorgon. Per la Casa del Popolo: Rozzo, Moro