“E’ un mondo che ho conosciuto a fondo quello dei senzatetto, prima quando ero alla Caritas e poi nel Coordinamento Asti Est. I rifugi di fortuna (anche in presenza di dormitori) già negli anni 90 erano costituiti dagli stabili dismessi dal Casermone, dalla Saffa e poi dall’ Ex Ospedale e stabili lasciati vuoti.
Occorre prendere coscienza che vi è una città marginale a fianco della città “normale”, sebbene per anni anche le autorità abbiano negato il fenomeno, il fenomeno esisteva negli anni 90 e esiste tuttora. Ma allora cosa si può fare? Si direbbe che è sempre esistito, che intreccia la crisi, il reddito, le difficoltà personali, in taluni casi le scelte individuali (molto più rari).
Eppure esistono pratiche di riduzione del danno:
i dormitori, il sostegno da parte di associazioni che distribuiscono coperte e che fanno un lavoro di bassa soglia (ad Asti esistono)
; le tante vituperate asosciazioni che fanno anche un lavoro di bassa soglia e che cercano risposte sociali, o che si prendevano in carico l’abusivismo trasformandolo in progetto e gestendolo.
Eppure sulle associazioni per il diritto all’abitare la città di provincia ha sempre moralizzato, la politica spesso ha demonizzato, lasciando quelle eperienze sole, processate, marginalizzate.
Eppure un conto è l’abusivismo senza sicurezza altro è un controllo sociale da parte di volontari nell’uso di spazi, basti pensare alle diverse situazioni tra corso Volta (non più seguita dalle associazioni) e problematica e via Allende.
Eppure dopo 10 anni pure via Allende è tornata vuota.
In Europa, Amsterdam, Londra le più note, ma anche Torino, Napoli hanno insegnato qualcosa sul dare risposte sociali al bisogno delle persone in emergenza.
In Europa e in Italia, si sono definiti spazi comuni, si sono avviati processi di autorecupero.
Eppure anche solo a Torino o in Europa per anni si son concessi spazi culturali a associazioni.
In Europa si è sperimentato l’autorecupero e le istituzioni lo hanno assecondato.
In Italia nonostante i dispositivi di legge ne ostacolassero la gestione, nonostante i decreti sicurezza, molte associazioni continuano a tentare operazioni di autorecupero trasformando spazi pubblici in luoghi.
Qui da un lato un ‘opinione pubblica sempre più reazionaria, una politica attenta a voti e ammantata di provincialismo ha pensato che la risposta sociale non potesse essere composita, ma semmai al massimo solo quella solidale di una mano più alta che dà a una più bassa che riceve. Nessun riscatto, nessuna idea alternativa di riuso di spazi.
Per gli spazi vuoti invece si è sognata solo una risposta del mercato, speculativa, di attori economici.
Facendo così non solo si è lasciato tutto come era, vista la crisi del mercato.
Eppure non vi sono alloggi popolari, gli scheletri dei 35 alloggi popolari di via Ungaretti sono la sagoma di un mondo morente.
Il recupero di spazi vuoti affidati al mercato è diventato un miraggio, in attesa di soggetti privati, di capitale.
Sognamo così il recupero della città, di quei tanti edifici vuoti, in uno dei quali si è consumato il fatto terribile di ieri sera.
Quando smetteremo di sognare dopo 10 anni di inutili sforzi operazioni imprenditoriali inesistenti? Quando ripenseremo a una città che utilizza spazi a fini culturali, di istruzione, sociali che prevedano un grande intervento pubblico, atrraverso fondi? Quando ci sarà una alleanza tra associazioni e istituzioni per autorecupero di immobili vuoti?
C’è una bomba da disinnescare in città, sono tutti gli immobili vuoti.
Nessuna visione, semmai l’attesa di un’offerta di qualche immobiliarista di renderli spazi per la città di sopra, gentrificando il disagio, espellendo i problemi verso altri contenitori vuoti.
Non demonizzo l’intervento privato, ma da solo non basta e non è bastato, occorre un’alleanza che non c’è stata tra attori sociali di promozione sociale, economia e istituzioni.
Occorre una riflessione di tutti gli attori e un’azione celere che ripensi a una destinazione sociale, culturale, solidale, per l’istruzione di tutti quegli spazi.
Solo connettendo la città di sotto e quella di sopra (Già connese, solo per i bempensanti non è così), torneremo ad avere una città del rispetto, orizzontale inclusiva.
Solo con tutti gli attori sociali, economici , pubblici si può pensare di ridare vita a una città con un quartiere fantasma (1700 alloggi sfitti, decine di strutture pubbliche abbandonate) che è un cancro che divora, spegne, uccide sia nella marginalità che nella vita economica.
Occorre farlo urgentemente, abbandonando visioni antiche e reazionarie, è necessario aprirsi a tutte le possibilità per dare risposte ai diritti fondamentali dall’abitare, della cutura, dell’istruzione”.
Mario Malandrone e Carlo Sottile