“Chi è nostalgico di una qualche religione civile, essendo morta e sepolta quella che ha ispirato i costituenti del 48, deve accontentarsi delle esternazioni di qualche uomo di chiesa. Così è stato per me, sabato scorso, durante la manifestazione “Miseria Ladra” convocata da Libera per sostenere la richiesta di un “reddito di dignità”.
Prima, in piazza San Secondo, il presidio delle associazioni aderenti all’iniziativa, accompagnato da una impropria, dato il tema, appendice di balletti in musica. Poi nella ex sala consiliare una assemblea con la gran parte degli interventi preventivamente selezionati. Il risultato è stato quello probabilmente atteso dagli organizzatori: un coro di voci “politicamente corrette”, vale a dire rispettose dei vincoli della legalità, della proprietà, dell’economia (neoliberista); una sola voce dissonante, quella del vescovo brasiliano, Monsignor Neri Tondello, Vescovo di Juina. La voce della mia associazione (Coordinamento Asti-Est), che ha riassunto le critiche che esporrò nel seguito, non essendo in cartellone, testimoniava in quel contesto il diritto di tribuna, che non si nega a nessuno.
Questa regia per lasciare sotto traccia una ambiguità che a me era apparsa evidente fin dalle riunioni preparatorie della manifestazione. Vale a dire, tenere insieme, in una dichiarazione di lotta alla povertà, chi di quest’ultima è teorizzatore (la disuguaglianza come motore dello sviluppo) o responsabile (i fautori delle politiche dell’austerità) e chi la povertà la subisce e tenta di allontanarla con una adeguata pratica sociale. Banalizzando, tenere insieme l’assessore ai Servizi Sociali e le famiglie di sfrattati, “occupanti” della ex Mutua di via Orfanotrofio, a cui quello stesso assessore nega, per interposto governo amico, il diritto alle utenze e alla residenza.
Insomma, solo il suddetto vescovo ha usato il termine neoliberismo per significare il sistema sociale dominante e segnalare che la povertà, dunque la disuguaglianza, è il prodotto di quel sistema sociale. Solo lui ha osservato che i ricchi non gradiscono i poveri che si organizzano per riprendersi il maltolto. In quanto alla filantropia, ha avvertito che non serve, se certifica solo la spoliazione dei diritti di cittadinanza, vale a dire la riduzione del cittadino a destinatario inconsapevole di decisioni altrui.
Quella voce dissonante non ha avuto in quell’assemblea alcun credito, solo ossequiosi contrappunti. La lezione non è stata raccolta, piuttosto soffocata nel “politicamente corretto”. E’ il linguaggio che dà senso alle cose e un ordine al discorso, sembrava dire il vescovo, e le ambiguità del linguaggio iniziano dalla scelta delle parole, nonché dai luoghi in cui si pronunciano. Dunque, sradicare la povertà è un compito che riguarda in primo luogo i poveri stessi, nei luoghi e nelle situazioni della loro disuguaglianza. Chi ne sposa la causa dovrebbe distinguere ciò che è legittimo da ciò che è legale, dovrebbe tener conto dei valori d’uso piuttosto che di quelli di scambio, dovrebbe fare della filantropia la propedeutica ad una buona politica sociale.
Da troppi anni, istituendo uno stato di emergenza permanente, si è fatto esattamente il contrario. A dimostrare questo assunto bastano i dati certificati dall’Istat, opportunamente richiamati per l’occasione dallo stesso responsabile organizzativo nazionale di Libera: la povertà assoluta negli ultimi 7 anni è triplicata, la povertà relativa è raddoppiata, i minori in povertà assoluta sono oltre un milione, mentre all’altro estremo della disuguaglianza c’è una esigua minoranza che ha accresciuto le sue fortune.
Nello stesso periodo, anziché sradicare la povertà con una buona politica sociale, la “rappresentanza” nazionale e territoriale di partiti, sindaci, assessori si è prodigata ad assoggettarla alle politiche dell’austerità. Lo ha fatto e continua a farlo, moltiplicando le azioni filantropiche e dotandole di autorevoli statuti. La legge 80/2014 ne è un luminoso esempio. Scritta negli uffici studi dei costruttori, tutela la proprietà immobiliare in tutte le sue forme e criminalizza le occupazioni, vale a dire premia la possidenza e punisce le sue vittime.
Insomma, indurre le persone e le famiglie a negoziare diritti e dignità per ottenere la sospensione temporanea del peggio (disoccupazione, precarietà dei redditi, sfratti), e al tempo stesso agitare contro un reddito di cittadinanza lo spettro dell’azzardo morale (premierebbe gli sfaticati), significa fare tutto il contrario di quello che fanno i vescovi in Brasile e di quello che tentano di fare “i movimenti” nel nostro Paese, vale a dire organizzare i poveri a riprendersi il maltolto e insieme ai cittadini consapevoli organizzarsi contro il potere dominante, per dare un altro ordine al discorso, dare un altro senso alle cose”.
Carlo Sottile, presidente del Coordinamento Asti-Est