Se mai si potesse riassumere una storia controversa confluita in una legge, una storia densa di sofferenza ed esclusione, questa fu la riforma psichiatrica che nel maggio del 1978 chiudeva i manicomi.
“Visto da vicino nessuno è normale”, della “180” a quarant’anni se ne è parlato in Provincia nel partecipato incontro promosso dal Nodo antidiscriminazioni e Assessorato politiche sociali della Città, in collaborazione con Asl At, avendo ben chiaro dagli interventi che si sono succeduti di non trovarsi di fronte a un anniversario qualsiasi. Tanto più per celebrare una legge . Quando mai?
C’è voluta l’efficace e lucida sobrietà dei relatori intervenuti a restituire una fotografia nitida e contrastata, come il bianco e nero di quegli anni.
Meglio ricordarselo subito, come ha fatto il presidente Marco Gabusi, “la politica, a dispetto degli anni recenti, e a pochi giorni dal delitto Moro seppe rovesciare il modo di pensare la malattia per gestirla nella società”.
E, giova rammentarlo, altre importanti disegni riformatori della salute caratterizzarono quel 1978 e di lì in poi, nella scuola (l’abolizione delle classi differenziali) e per la salute in fabbrica.
Da quella risposta di Franco Basaglia, lo psichiatra che portò avanti coraggiosamente il disegno di de-istituzionalizzazione, a Sergio Zavoli che gli domandava se fosse più interessato al malato o alla malattia, e lui: “Indubbiamente al malato”, la rappresentazione delle tentazioni, ricorrenti, di equivocare tra reclusione e ricovero, tra colpa o vergogna e normale malattia. “A voler marcare”, lo ha ricordato proprio Cristina Gai del nodo antidiscriminazioni provinciale, “il confine tra inclusione ed esclusione sociale, tra soggettività del paziente e oggettività della malattia. Il paziente è portatore di storie e sapere e una problematica sociale non può essere medicalizzata”.
Come ha scritto di lui uno degli allievi di Basaglia recentemente “ha messo tra parentesi la malattia, e fatto questo non poteva che scoprire delle persone, nomi storie, relazioni, violenze, desideri andati in fumo, tutte vite cui dare un senso: In loro riconosceva un soggetto” (Peppe dell’Acqua, Avvenire 27.04).
“Mi occupo di luoghi del mondo dove la malattia mentale è utile a schiaffare in galera i dissidenti o al peggio eliminarli…”. Ma anche Domenico Quirico è più interessato al “malato”, “una regola generale da applicare in ogni campo, per qualsiasi forma di discriminazione”. E allora il suo leitmotiv, sano, incidente, senza fronzoli “La contemplazione del dolore attraverso il soggetto che la incarna. Mi interessano i siriani non la Siria, gli africani non la geopolitica dell’Africa”. Con un dubbio tutto legittimo, a dire però il grado della civiltà dei diritti, continuamente da coltivare “Non so se oggi Basaglia riuscirebbe a far passare la legge”.
“Ho imparato” è parola scomoda in bocca agli adulti, eppure nessuno degli interventi si è sottratto a spiegarla. “Non si poteva ignorare che cosa fossero i manicomi, “bolge dantesche” le definì un ministro della sanità”, il racconto è della psichiatra Caterina Corbascio. “A Collegno e Grugliasco 7-8.000 pazienti. Con le infermiere che lavavano le chiavi per paura del… contagio”, qui si era fermato il tempo”.
Allora Il suo imparare, netto, progressivo, senza ritorno è stato “decostruire, pezzo a pezzo per poter cambiare”. Così ne è derivato il rispetto della volontà della persona fragile, il suo accompagnamento nella cura, il sostegno e il ruolo insostituibile della famiglia e degli operatori.
Gabriella Sala, responsabile del servizio sociale dell’Asl AT conosce bene l’evoluzione dell’applicazione della riforma sul territorio e insiste su domiciliarità e intervento lavorativo. Su questo si sofferma: “Nonostante la crisi riusciamo a fare due assunzioni “vere” all’anno. Non è un lavoro “finto” che si offre, perché solo il lavoro vero abilita, ma servono atteggiamenti non compassionevoli e portati avanti con rigore professionale”.
Ma una legge, pur attuale, non può dire o risolvere tutto e serve continuare a ricercare spunti di innovazione. “La malattia mentale crea paura. Ho imparato che solo quando si ha il coraggio di chiedere aiuto, lì c’è il superamento dello paura e dello stigma”.
Spetta al primo cittadino, in caso di necessità autorizzare trattamenti sanitari obbligatori, e dal Sindaco Maurizio Rasero la consapevolezza “che quando c’è una persona in difficoltà c’è una famiglia cui dare risposte. Diamoci altre occasioni come queste, per imparare come renderci più utili”.
Un pomeriggio di idee scorso via veloce “andando e tornando nella storia lontana e recente, ha commentato l’Assessore Mariangela Cotto, con molti spunti per continuare a stringere nodi e scambiando conoscenze, senza paura” .
Un primo prossimo appuntamento il prossimo 10 ottobre.
Fu chiesto a Norberto Bobbio “L’Italia del dopoguerra ha visto una vera riforma?” Rispose “l’unica vera riforma fu quella che aveva liberato i matti”. Da allora, ha detto Ida Grossi direttore di Asl At “ si calcola, 20 milioni di persone sono state curate fuori dai manicomi”.