Sono stati segnalati nelle ultime settimane diversi casi di Peste Suina Africana fra i cinghiali selvatici in Piemonte e in Liguria. Il territorio dell’Asl AT non è al momento toccato direttamente ma è in parte adiacente alla “zona infetta”, che comprende 78 Comuni in provincia di Alessandria e 36 fra le province di Genova e Savona.

Questa area è oggetto dell’ordinanza firmata nei giorni scorsi dal Ministero della Salute e dal Ministero delle Politiche Agricole: per sei mesi nei Comuni interessati sono state vietate l’attività venatoria (ad eccezione della caccia di selezione), la raccolta dei funghi e dei tartufi, la pesca, il trekking, la mountain bike e le altre attività che prevedono l’interazione diretta o indiretta con i cinghiali.

La Peste Suina Africana non si trasmette all’uomo, dunque non ci sono rischi per la salute delle persone e il consumo di carne non comporta alcun pericolo. Ma è spesso mortale per maiali e cinghiali e può quindi avere ripercussioni gravissime sugli allevamenti di suini e sul settore agroalimentare in genere.

I professionisti del Servizio Veterinario dell’Asl AT, che quotidianamente svolgono un ruolo essenziale nella prevenzione e nel campo della sicurezza alimentare in genere, stanno quindi seguendo con estrema attenzione l’evolversi della situazione, rafforzando i controlli, monitorando puntualmente ogni segnalazione di capi potenzialmente infetti, verificando le misure di biosicurezza degli allevamenti posti nelle aree confinati alla zona infetta della Provincia di Alessandria.

Inoltre, su indicazione della Ministero della Salute e della Regione Piemonte, sono state adottate nuove procedure per la macellazione dei suini ad uso familiare: ogni seduta di macellazione a domicilio ad uso familiare deve essere sottoposta al controllo degli operatori del Servizio Veterinario, che dovranno essere preavvisati almeno 48 ore lavorative prima (mail: segrareab@asl.at.it; telefono: 0141 484020 o 0141 483526 dal lunedì al venerdì ore 8,15-12,30 e 13,30-15).

LA PESTE SUINA AFRICANA

– è una malattia dei suidi (maiali e cinghiali) causata da un virus della famiglia Asfaviridae,mortale nel 60-80% dei casi, anche perché non esistono cure né vaccini;

– si tratta di un virus molto stabile che, pur non avendo effetti sull’uomo e sugli altri animali, sopravvive nella carne e nei visceri per 105 giorni, nella carne salata per circa 180 giorni, in carne, grasso e pelle essiccata per 300 giorni e nella carne congelata per anni. Può rimanere infettante anche nelle carcasse fino a diversi mesi, oltre che nell’ambiente, su indumenti e materiali;

– in Africa è una malattia endemica, trasmessa attraverso zecche del genere Ornithodoros. In Europa, dove questa zecca è di fatto assente, si diffonde per contatto diretto attraverso la via oro-nasale (naso e bocca), per contatto indiretto e tramite ingestione di alimenti contaminati;

– il virus è in grado di effettuare salti geografici, attraverso cibo, materiali o mezzi veicolati dall’uomo. Il genotipo individuato proviene dall’epidemia in corso da anni nell’Est Europa (iniziata nel 2007 in Georgia e allargatasi a Russia, Moldova, Bielorussia, Ucraina) e progressivamente diffusasi in diversi Paesi dell’Unione Europea (Polonia, Lettonia, Lituania, Estonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Romania, Belgio, Slovacchia, Grecia, Germania) e dei Balcani (Serbia). Attualmente 350-400mila km² dell’Unione Europea sono interessati dall’infezione con un numero, certamente sottostimato, di oltre 500mila cinghiali coinvolti;

– l’immediata attuazione delle misure di controllo nei suidi selvatici risulta fondamentale per avere maggiori probabilità di confinare ed eradicare la malattia. Ancora più importante è la tempestiva identificazione dell’ingresso del virus nelle popolazioni indenni di cinghiali: un ritardo potrebbe infatti determinare una diffusione della malattia su territori talmente vasti da rendere difficilmente attuabile l’applicazione delle misure di controllo, con gravi ripercussioni economiche per il settore produttivo suinicolo che andrebbe incontro a pesanti restrizioni commerciali;

– gli allevatori sono quindi tenuti al massimo rispetto delle misure di biosicurezza: evitare che gli animali allevati entrino in contatto con animali selvatici o con materiali potenzialmente contaminati, non somministrare loro scarti di cucina (pratica già vietata);

– anche i cittadini sono chiamati ad adottare precauzioni. In particolare, anche se non si è in “zona infetta”, è bene non lasciare in luoghi aperti avanzi di cibo e avvisare immediatamente Asl e Forze dell’Ordine se si avvista una carcassa di cinghiale.