Il tartufo bianco d’Alba, specialità di cui l’Italia detiene il patrocinio, è conosciuto in tutto il Mondo per il suo particolare profumo, che lo rendeva unico già nel XVIII sec., quando i principi di Savoia ne approfittavano durante le trattative diplomatiche.
Questo fungo viene raccolto esclusivamente in ambiente boschivo, poiché il corpo fruttifero è risultato della simbiosi con alberi quali querce, salici, carpini e pioppi ed attualmente le zone in cui cresce spontaneamente sono principalmente l’albese in Piemonte, i Balcani ed in minima parte la Svizzera e la Francia.
Nonostante in Piemonte si investa molto per la manutenzione dei boschi, non tutte le querce che crescono in territori adatti diventano produttrici di tartufi bianchi; le ragioni sono ad oggi ancora sconosciute, dato che ci sono ancora molti aspetti da scoprire sul rapporto di simbiosi che lega questi funghi agli alberi.
Per via della sua rarità è però anche molto costoso, ecco perché, già dagli anni ’70, anche in Italia si prova a coltivarlo. I risultati sono stati però purtroppo altalenanti infatti, dove il lavoro è andato a buon fine, la raccolta è avvenuta una ventina di anni dopo la realizzazione delle piantagioni e solo in aree in cui il tartufo già cresceva spontaneo.
Va precisato infatti che coltivare i tartufi bianchi e molte altre specie di funghi (tra cui i porcini) non è semplice, poiché sono funghi micorrizici, ovvero il loro micelio cresce solo in simbiosi con le radici di una pianta a cui i funghi donano i minerali estratti dal suolo, ricevendo in cambio gli zuccheri a loro indispensabili. Perciò coltivare funghi micorrizici significa in realtà coltivare le specie di alberi insieme ai quali crescono, condizionandole in modo da ottenere i corpi fruttiferi.
Attraverso un articolo pubblicato il 16 febbraio sulla rivista scientifica Mycorrhiza, l’Institut national de recherche pour l’agriculture, l’alimentation et l’environnement (INRAE) annuncia di essere riuscito a coltivare il tartufo bianco in Nuova Aquitania, una regione della Francia dove i tartufi bianchi non si trovano in natura. Il risultato è stato ottenuto grazie ad una collaborazione con il vivaio Robin di Saint-Laurent-du-Cros, un comune della Provenza-Alpi-Costa Azzurra, iniziata nel 1999.
I ricercatori dell’INRAE spiegano “Siamo partiti dalle piantagioni di roverella, la specie di quercia più diffusa in Italia, oltre che la pianta tartuficola per eccellenza, abbiamo preso le radici e vi abbiamo legato a micelio l’apparato vegetativo del Tuber magnatum (tartufo bianco)”.
Naturalmente non esiste certezza di successo ma il vivaio Robin dà istruzioni in merito a terreno e clima maggiormente favorevoli alla crescita dei tartufi, mentre l’INRAE certifica, grazie ad analisi del DNA, la presenza del fungo nelle piante.
L’istituto ha anche seguito la messa a dimora e lo sviluppo di alcune roverelle, piantate in regioni della Francia in cui normalmente i tartufi non crescono. In tutto sono stati cinque i tentativi di coltivazione e finora la permanenza del micelio, a distanza di 3-8 anni dalla messa a dimora delle roverelle, si è rilevata in quattro piantagioni, che si trovano in tre regioni con climi diversi (il Rodano-Alpi, la Borgogna-Franca Contea e la Nuova Aquitania). Nel 2019 nella piantagione della Nuova Aquitania sono stati raccolti tre tartufi e nel 2020 quattro.
Il lavoro è stato accolto con entusiasmo da Joël Giraud, segretario di Stato per gli affari rurali, che ha dichiarato “È una perfetta illustrazione della capacità di innovazione delle zone rurali, che il governo sostiene ed incoraggia.”.
Michel Tournayre, presidente della Fédération française des trufficulteurs, ha affermato “L’annuncio dell’INRAE segna un grande sviluppo”.
Mauro Carbone, direttore del Centro nazionale studi del tartufo di Alba, ha spiegato “Siamo molto felici se qualcuno porta dei risultati di questo tipo. Riuscire ad aumentare la produzione di tartufi bianchi sarebbe importante anche per i territori dove crescono spontaneamente, perché c’è un preoccupante calo della produzione naturale e le aree di produzione spontanea sono sempre meno. Se vogliamo dare un futuro al tartufo bianco d’Alba, non possiamo fare leva solo sulla natura ma dobbiamo affidarci anche alla ricerca. Il mercato del nostro tartufo non è però a rischio, poiché il nostro prodotto ha specifiche caratteristiche ed una tradizione che troviamo solo qui.”.
Michele Filippo Fontefrancesco, antropologo e ricercatore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, ha spiegato “Ciò che rende speciale il tartufo bianco in Italia è la tradizione culturale. Si apprezza il tartufo d’Alba per l’odore e l’aroma ma anche per la magia legata a territorio e cani da tartufi. Se in futuro i tartufi bianchi dovessero arrivare nei supermercati, sarà importante valorizzare la tradizione dei tartufai, che è una delle particolarità del patrimonio gastronomico italiano.”.
Sebbene sia prematuro parlare di avvio di piantagioni di tartufo bianco, in Italia c’è già chi si preoccupa per le ripercussioni che la scoperta potrebbe avere sul mercato. Il rischio maggiore risiede nella frenesia che potrebbe accompagnare la commercializzazione delle piante micorizzate. In tal senso, il nuovo strumento dovrebbe essere utilizzato esclusivamente per integrare le tartufaie naturali, condizionando l’albero cosicché abbia più possibilità di sviluppare le micorizze, responsabili della formazione del fungo.
Secondo Coldiretti la coltivazione di tartufo bianco fuori dai confini nazionali potrebbe danneggiare i moltissimi tartufai presenti sul territorio italiano ed auspica che i tuberi coltivati abbiano un’apposita etichettatura, così da evitare di ingannare i consumatori e gestire i rischi della vendita sul mercato di importazioni low cost spacciate per italiane.
Sebbene le applicazioni di questo studio siano ancora in una fase iniziale, la scoperta è davvero sconcertante. Una cosa però è certa, nessun laboratorio al Mondo potrà mai replicare quell’insieme di valori, tradizioni, sentimenti e… notti insonni con il fedele taboj, che legherà sempre il tartufo bianco al nostro territorio!
Stefania Castino