Martedì 16 febbraio alle 20.30 l’Istituto Statale di Istruzione degli Adulti di Asti continua i suoi appuntamenti di educazione civica affrontando il tema dell’Intercultura.
L’incontro sarà “I come Intercultura-Un antropologo in cucina”. I termini cibo e rito sono profondamente collegati l’uno con l’altro. Infatti l’abitudine al consumo fa sì che un piatto diventi tipico e che, se da un lato appaga il gusto, costruito e modellato sulla consuetudine, dall’altro su un piano simbolico, finisce in molti casi per trasformarsi in una specie di marchio d’identità, creando delle identificazioni “etniche”. Gli italiani all’estero vengono spesso chiamati “maccheroni”, i belgi sono derisi dai francesi perché “ divoratori di patate”, mentre i francesi sono detti dalle popolazioni anglo-sassoni “mangiatori di rane”. Vere o presunte, le abitudini alimentari finiscono per creare dei gruppi di appartenenza; in altri casi è il gruppo stesso a fare di un piatto o di una bevanda un elemento di orgoglio e di identificazione: ad esempio lo Champagne è diventato un marchio nazionale francese;il cous-cous è il simbolo del mondo arabo; la pizza e gli spaghetti sono emblemi di italianità. Ci si identifica per ciò che si mangia e ci si distingue per ciò che non si mangia.
Se da un lato certi prodotti si legano ad un territorio, assumendo denominazioni d’origine che ne attestano la tipicità, da un altro punto di vista il loro consumo può indicare un diverso tipo di appartenenza, quale il ceto, il genere e l’ideologia. Mangiare vegano oggi non significa solo una scelta salutistica, ma anche l’appartenenza ad un determinato movimento di idee, che non si limita solo all’alimentazione. D’altra parte la ricerca del cibo tradizionale porta ad altri paradossi:alcuni piatti considerati poveri, grazie alla loro “riabilitazione” in chiave di tipicità e di tradizionalità sono serviti nei ristoranti stellati. Il cibo è sempre stato un grande viaggiatore: si pensi a come si è modificata l’alimentazione europea dopo il ritorno di Colombo dalle Americhe. Prodotti come la patata o il pomodoro,considerati quasi banali per la frequenza con cui li mangiamo, erano sconosciuti in Europa, così come il mais. “Polentoni” è uno degli appellativi scherzosi (a dire il vero, a volte, anche un po’ denigratori) con cui vengono definiti gli abitanti del Nord Italia. Ancora una volta un piatto è diventato un marchio identitario : la polenta è “tradizionale” non perché autoctona o storicamente legata ad un territorio, lo è perché viene pensata così. Anche dietro agli “strumenti” con cui mangiamo spesso c’è una filosofia ben precisa: è il caso dei “kuaizi” , i tradizionali bastoncini cinesi di legno. Nella cultura della Cina il cibo è da sempre inteso come elemento da condividere in pace:per questo motivo il coltello,che è anche un’arma, non deve comparire sulla tavola.
E così se l’uomo ha camminato e viaggiato a lungo per collocarsi e adattarsi ad ogni area del pianeta partendo dalla terra natia Africa, così il cibo è il “ gran viaggiatore” e la comunanza di intrecci descrive bene ciò che siamo, le nostre somiglianze ed apre contraddizioni. Ad offrire una Lectio Magistralis, fatta di gioco e narrazioni, sarà Marco Aime che ha incontrato spesso gli studenti del CPIA e per l’occasione diventerà un ” antropologo in cucina”, usando gli strumenti di osservazione e di analisi tipici di un antropologo nel contesto del cibo.
Marco Aime è Professore Ordinario di Etnografia presso l’Università di Genova. Ha condotto ricerche in Benin, Burkina Faso e Mali, oltre che sulle Alpi. Oltre a numerosi articoli scientifici, ha pubblicato vari testi antropologici sui paesi visitati: Chalancho, ome, masche, sabaque. Credenze e civiltà provenzale in valle Grana (Centre de Minouranço Prouvençal, Coumboscuro, 1992); Il mercato e la collina. Il sistema politico dei Tangba (Taneka) del Benin settentrionale. Passato e presente (Il Segnalibro, 1997); Le radici nella sabbia (EDT, 1999); Diario Dogon (Bollati Boringhieri, 2000); Sapersi muovere. Pastori transumanti di Roaschia in collaborazione con S. Allovio e P.P. Viazzo (Meltemi, 2001); La casa di nessuno. Mercati in Africa Occidentale (Bollati Boringhieri, 2002); Eccessi di culture (Einaudi, 2001); L’incontro mancato (Bollati Boringhieri, 2005); Gli specchi di Gulliver (Bollati Boringhieri, 2006); Il primo libro di antropologia (Einaudi, 2008); La macchia della razza (Ponte alle Grazie, 2009); Una bella differenza (Einaudi, 2009). È autore anche di alcune opere di narrativa: Taxi brousse (1997); Fiabe nei barattoli. Nuovi stili di vita spiegati ai bambini (1999); Le nuvole dell’Atakora (2002); Sensi di viaggio (2005); Gli stranieri portano fortuna (2007); Il lato selvatico del tempo (2008). Fra gli altri suoi titoli si ricordano: Gli uccelli della solitudine (2010); L’altro e l’altrove (2012); Tra i castagni dell’Appennino (2014); Je so’ pazzo. Pop e dialetto nella canzone d’autore italiana da Jannacci a Pino Daniele (2014); La fatica di diventare grandi (2014); Senza sponda. Perché l’Italia non è più una terra d’accoglienza (2015); Invecchiano solo gli altri (Einaudi, 2017).
L’incontro con Marco Aime, preceduto da lezioni sul tema del cibo e del rito, sarà un’occasione preziosa per i corsisti che studiano nel settore turistico, enogastronomico ed agrario (quindi di produzione di cibo) in quanto il CPIA,insieme all’Istituto Penna, è anche sede dei corsi serali in Enogastronomia e Accoglienza Alberghiera e Agraria
L’incontro si colloca in “Alfabeti di Cittadinanza” e sarà visibile sulla pagina Facebook del CPIA e sul Sito del CPIA 1 ASTI nella sezione eventi.