Fabiano Massimi, vincitore del Premio Asti d’Appello con l’“Angelo di Monaco” nel 2020, anno che ha visto assegnare a distanza il riconoscimento per via del covid, torna ad Asti per presentare il suo ultimo romanzo “Le Furie di Venezia”. L’appuntamento è in Biblioteca Astense questa domenica 10 novembre alle 18, al termine della votazione della giuria popolare che esprimerà il proprio parere sui romanzi in gara nell’edizione di quest’anno.

“Le Furie di Venezia” uscito a settembre per Longanesi è un romanzo che riporta alla luce uno dei segreti più oscuri del fascismo: la vicenda di Ida Dalser, prima moglie di Benito Mussolini e madre del loro figlio Benito Albino che, in un crudele atto di repressione, furono allontanati e internati per volontà del regime.

Torna ad Asti dopo quattro anni dalla vittoria di Asti d’Appello con L’Angelo di Monaco” e a poco meno di due anni dalla presentazione di “Se esiste un perdono”. Ancora una volta lo fa con un romanzo storico che parla di una vicenda poco conosciuta. E’ un caso o un talento?

“Asti è una città che ho nel cuore per molti motivi, iniziando dal premio che mi avete attribuito (l’inizio di cose magnifiche, letterariamente e personalmente) e continuando con l’amicizia che mi ha unito, purtroppo per poco tempo, a Massimo Cotto, e con questo voglio mandargli un abbraccio anche da qui. Sono felice di tornare per presentare il romanzo che chiude la trilogia iniziata con l’Angelo: ha il senso di una fine, che come si sa è sempre un nuovo inizio. Per cui ancora un romanzo storico, genere cruciale in un tempo senza memoria, e su una vicenda poco conosciuta, ormai una sorta di firma autoriale. Non vado a cercarle, mi arrivano loro dai luoghi più disparati, e alcune restano attaccate alla mia penna, vogliono essere scritte proprio da me, chissà perché. Tante volte, specie agli inizi, un autore si chiede: ciò che sto creando avrà un significato per qualcuno? Ma storie vere come quella al centro delle Furie avranno sempre un significato”. 

Come si è avvicinato alla storia di Ida Dalser e del figlio segreto di Mussolini?

“Ho scoperto la vicenda anni fa, prima ancora di affrontare la morte misteriosa di Geli Raubal nel mio primo thriller storico, e all’inizio volevo raccontarla a sé, in un romanzo “stand-alone”. Poi però ho capito che data l’epoca (1934, solo tre anni dopo Monaco) e visto che la temperie politica era la stessa (là il nazismo rampante, qui il fascismo al suo apice) un modo potente per scriverla sarebbe stato legarla alla mia serie. Quindi i soliti passi iniziali: documentazione tra biblioteche e archivi, visite ai luoghi (manicomi compresi), lunghe liste di persone, cose ed eventi che sarebbero finiti nel libro. Alla fine ho costruito una struttura narrativa che potesse esibire tutta la verità storica basata sulle fonti tenendo in qualche modo separata la finzione pura, e a quel punto mancavano solo i personaggi perché la scrittura si avviasse. Ma la domanda accetta anche una risposta più stringata: a Ida e Albino mi sono avvicinato con cautela, attenzione, rispetto, perché non erano personaggi, erano persone. 

Quale percentuale di verità e di finzione nel romanzo?

“Risposta matematica: 75% verità, 25% finzione. Risposta letteraria: 100% verità, perché ciò che ho inventato (parola che viene dal verbo latino per “trovare dopo aver lungamente cercato”) è perlopiù un’estrapolazione dai fatti e dai tempi reali. Anche i protagonisti dell’indagine nascono da uomini e donne realmente vissuti, cui io ho donato tratti e azioni non attestati, ma non arbitrari. Se avessero vissuto quelle vicende, sono certo che si sarebbero comportati così. Comunque i documenti che riporto nel testo esistono davvero, e la storia di Ida e di Albino, le due grandi vittime del Duce, è fedele alle fonti. Si scrivono romanzi come Le furie di Venezia per riportare fatti ingiustamente dimenticati al centro della scena, non per inquinarli con la fantasia”.

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 8 novembre 2024

Laura Avidano