Il nostro lungo viaggio ci conduce a incontrare un’artista poliedrico: cantante, attore, regista, una lunga carriera tra palcoscenico e grande schermo, Fabrizio Rizzolo.
Molto conosciuto su tutto il territorio nazionale, sempre in tour, si è trovato improvvisamente, a causa della terribile pandemia, rinchiuso per mesi nel suo eremo di Isola d’Asti con la famiglia ma la sosta forzata, lenita dalla vicinanza dei suoi affetti più cari, gli ha dato la possibiltà di mettere ordine alle sue idee e di avviare nuovi progetti che prenderanno forma non appena si potrà tornare alla normalità.
Che cosa ha prodotto la pandemia nel mondo dello spettacolo sia in generale sia suo personale?
“La pandemia ha innanzitutto prodotto un vuoto generale che ha spaventato il mondo, per cui ci sono state reazioni molto diverse. Gli artisti hanno sentito il contraccolpo prima da un punto di vista emotivo e poi professionale. Si pensava che questa situazione potesse durare molto meno ma, a un certo punto, ci siamo resi conto che anche le previsioni più negative, si stavano rivelando corrette. Siamo di fronte a una grande sfida, noi artisti soprattutto facciamo fatica a stare fermi e lontani dalle persone. Il contatto “fisico” con il pubblico è di primaria importanza, è quasi una ragione di vita. Poi penso a tutte le maestranze, ai tecnici, tutti i lavoratori della filiera teatrale e dello spettacolo dal vivo in generale, e mi sento ancora più frustrato. È veramente una situazione surreale, spero davvero che finisca presto. Personalmente ho utilizzato una parte del tempo per stare di più con la famiglia e poi per pensare nuovi progetti e darmi da fare. E allora ci si inventa tante cose. Poi ho la fortuna di lavorare anche nel mondo del cinema e delle serie TV, per cui le occasioni fortunatamente non mi mancano. Ho dovuto fare anche tre tamponi in cinque giorni, ma meglio così”.
Lei non ha mai mollato. Prima le piattaforme web e poi gli spot per il Monferrato e per il commercio astigiano.
“Sì, come dicevo non riesco a stare fermo. Ringrazio anche le persone che hanno fiducia in me, e mi chiedono di collaborare a diversi progetti. Con Marcello Coppo è nata una bellissima collaborazione e mi ha chiamato per far nascere questi due progetti e gestirli come direttore artistico e regista. Era importante per lui cercare di fare qualcosa di pratico, nel primo caso che sollevasse un po’ gli animi e promuovesse il nostro meraviglioso territorio, così la sua idea di trasformare “Sweet home Alabama” in “Sweet home Monferrato” mi è piaciuta moltissimo. Abbiamo lavorato per portare tutto con una grande ironia, e soprattutto per portare Cerot e la Cerot Band con noi! In tutto eravamo una quarantina di persone. E ce l’abbiamo fatta. Lo spot #compralocale ha uno spirito diverso, ma il messaggio è simile: dobbiamo tutti darci una mano e credere nel nostro territorio e nelle nostre risorse. Bisogna davvero battere su questo tasto”.
In questo momento sta dirigendo un cortometraggio, vero?
“In questo momento sono appena usciti due cortometraggi (“Oscar” e “La guarigione”) dove interpreto due tipi di padri: uno alle prese con la sua bimba che deve vincere le sue paure, e l’altro è un uomo di origine moldava, che ha affrontato dure prove nella vita e non vuole parlare alla figlia del suo passato. Ma ce n’è uno in preparazione, a cui tengo davvero tanto, che mi vede nei panni del commissario Eugenio Cecchi, un personaggio letterario tratto dai libri di Alessandro Chiello. È un uomo risoluto, ma che vive una profonda malinconia; in questo corto sarà alle prese con un caso molto complesso perché riguarda in un certo modo lui. Si intitola “Damua, la solitudine ai tempi del virus”. Ho collaborato alla sceneggiatura, ma la regia è di Marzio Bartolucci, la fotografia di Alberto Lepri. Sarà interamente girato a Domodossola, produzione Domometraggi”.
L’intervista completa sul numero della gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 5 febbraio.
Massimo Allario