Il nostro interminabile viaggio nei meandri del mondo culturale astigiano prosegue senza soste e oggi ci porta a conoscere un personaggio schivo, un grande professionista, un uomo di grande cultura: Franco Rabino.
L’abbiamo incrociato qualche settimana fa nel suo ambiente, mentre si aggirava tra le quinte e il palcoscenico di Passepartout alla ricerca di qualche scatto significativo.
Si accende una sigaretta e ci parla a 360° della sua visione del mondo fotografico, partendo dalla serata di “Anteprima Passepartout” che lo ha visto protagonista nel raccontare le fotografie di Luigi Ghirri.
Che cosa l’ha colpita del mondo di Ghirri?
“Ghirri è stato un precursore, un ricercatore in proprio nell’ambito della storia e dell’estetica della fotografia. Quando ha visto la foto dell’allunaggio, ha capito che era l’immagine delle immagini. Da quel momento epocale, si doveva ripartire da capo, le cose andavano riviste una seconda volta da un altro punto di vista. Purtroppo la sua vita è stata molto breve , è mancato a 49 anni nel 1992, ma è stato uno dei più importanti fotografi del XX secolo”.

Che tipo di fotografia la attrae?
“La fotografia è un’arte a sé, diversa dalla pittura, ha un suo linguaggio autonomo, dopo quel periodo buio allora ho cercato di lavorare solo su progetti, sviluppando un percorso tecnico. Ghirri ci ha insegnato, nel tempo in cui l’immagine è sintomo di velocità, a recuperare forme di lentezza. Lavorava col cavalletto, su progetti che teneva aperti, magari tornava dopo anni a fare la stessa foto. Ghirri era umanamente una figura di grande spessore e diffidava dei fotografi che si sentono artisti, lui si definiva un’artigiano dell’immagine. Due sono i filoni che seguo principalmente: l’evento d’arte come i festival e la ricerca di paesaggi come definizione dei territori”.

Concludendo: qual è la sua idea di fotografia?
“La fotografia che intendo io, permette di studiare le problematiche, di approfondire i temi trattati, di cogliere il senso profondo delle cose, perché solo conoscendo a fondo le varie tipologie tematiche si possono presentare al meglio. Come dicevano i nostri vecchi “Quello che sai non cade per terra”. Occorre saper comunicare la complessità del presente: quella è la strada che deve percorrere la fotografia nel mondo attuale”.

L’intervista completa sul numero della gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 19 luglio 2019

 Massimo Allario