La Pac 2021-2027 sarà il giusto equilibrio tra sostenibilità e sviluppo economico. Si dovrà puntare su agricoltura di precisione e biotecnologie per sostituire i trattamenti chimici, anche se molti strumenti legislativi devono ancora essere implementati. È il pensiero di Paolo De Castro, vicepresidente della Commissione Agricoltura al Parlamento Europeo ed ex ministro dell’Agricoltura in Italia, che mi accoglie nel suo ufficio a Bruxelles. In vista dell’imminente approvazione della Politica Agricola Comune, parliamo di futuro, sostenibilità, reddito e mercati.
Onorevole, sarà una Pac nel segno della sostenibilità e della sicurezza alimentare. Come giudica il provvedimento che dovrete approvare tra pochi giorni?
In 7 anni all’Italia verranno destinati circa 50 miliardi di euro, cofinanziamento compreso, più o meno la stessa somma della Pac precedente. Il che è un bene se si pensa che la Commissione Juncker avrebbe voluto tagli fino al 25% nel settore agricolo. L’altro aspetto positivo è l’attenzione alla sostenibilità, soprattutto con il vincolo del 25% sugli aiuti diretti destinati a pratiche di agricoltura sostenibile. Su 3,7 miliardi di aiuti diretti ogni anno, quindi, oltre 900 milioni andranno alla sostenibilità. Ci sono poi novità sugli strumenti di promozione sui mercati internazionali tramite le Organizzazioni Comuni di Mercato (Ocm) e strumenti per favorire l’aggregazione nei consorzi, richiesti soprattutto dai consorzi di vini. Infine, c’è il pilastro della dimensione sociale contro le pratiche sleali di chi non rispetta le regole sul lavoro e la sicurezza. Nel complesso mi sembra un giusto equilibrio tra sostenibilità e sviluppo economico.
Lei dà molta importanza all’utilizzo delle biotecnologie in agricoltura. Ci spiega a cosa si riferisce e che ruolo avranno nella nuova Pac?
Ridurre la chimica in agricoltura, come antibiotici e fitofarmaci, è tra gli obiettivi della nuova Pac. Ma quali sono le alternative concrete oggi? Esistono già pratiche genetiche che permettono di creare cloni di vite resistenti a malattie come la peronospora e l’oidio e che nulla hanno a che vedere con gli Ogm. Per implementarle, però, serve che l’Unione Europea lo stabilisca chiaramente. Il dramma è che questi strumenti sono già disponibili, ma serve una norma europea che precisi che le Tecniche di evoluzione assistita (Tea) non spostano geni da una pianta all’altra, bensì agiscono all’interno del codice genetico della pianta. È solo una accelerazione di un processo naturale il cui utilizzo diminuirebbe di molto l’utilizzo dei trattamenti chimici per combattere le malattie.
Seguendo questa linea nel solco del Green Deal, Farm to Fork è una strategia ambiziosa che auspica un 25% a biologico e una riduzione del 50% di pesticidi chimici entro il 2030. Ma ciò che spesso si dimentica, è che produrre in maniera sostenibile aumenta i costi. Saranno davvero sufficienti le risorse economiche necessarie a supportare questa transizione?
Il Parlamento vuole semplicemente che il Farm to Fork sia una strategia che supporti le aziende verso pratiche più sostenibili. Qui però stiamo parlando di un orizzonte di lungo periodo che indica degli obiettivi, non di un atto legislativo che vincola gli agricoltori. Prima di fare valutazioni sui soldi, serve fare analisi di impatto e stabilire dei target. Ma non siamo ancora in quella fase. Abbiamo solo concordato degli obiettivi che poi saranno implementati dalla Commissione Europea.
L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 12 novembre 2021
Danilo Bussi