Al “Gener Neuv” di Asti, storico e stellato ristorante sul lungo Tanaro condotto per oltre 40 anni dalla famiglia Fassi, la sera del 5 novembre 1994 le sale erano al completo, grazie alle prenotazioni dei numerosi gruppi di stranieri in visita alla città. L’esondazione colpì duramente sia il locale sia la casa di Pina e Piero Fassi ma non scalfì la forza dei coniugi (insieme da 64 anni), che di “alluvioni” nella vita ne hanno superate tante.
Piero, cos’è successo quella sera al suo ristorante?
“Pioveva da tre giorni. Ricordo che intorno alle 21 mi affacciai per controllare il livello del Tanaro, distante pochi passi dall’entrata del Gener Neuv, ma non mi preoccupai perché avevo visto crescere il livello del fiume molte altre volte. Tuttavia due ore dopo, durante una seconda ispezione notai che era cresciuto di altri 40 centimetri, e ne mancavano solo 30 allo straripamento. Tornai in cucina, dando rigide disposizioni ai collaboratori e chiedendo di accelerare il servizio. Portai personalmente i conti ai tavoli e mandai via i clienti. Il Gener era ormai vuoto e il primo pensiero fu quello di posizionare sedie e tappeti sopra ai tavoli, insieme a 14 forme di Castelmagno recuperate dalla cantina, ormai inondata. Pina e io non volevamo lasciare la casa, ma insistemmo affinché le nostre figlie Maria Luisa e Maura si allontanassero. “O tutti o nessuno”, ci avevano detto. Non restò che chiudere la porta e abbandonare casa e ristorante”.
Dove vi siete diretti?
“La pioggia era fortissima e in un momento le luci di tutto il borgo si spensero; sembrava fosse caduta una coperta nera su tutta la zona. Eravamo spaventati. Ci incamminammo per corso Savona con l’intento di raggiungere il centro città, dove mio fratello Giorgio e i consuoceri ci avrebbero ospitato nelle loro case. Eravamo in fila uno dietro l’altro: Maria Luisa con il pancione, in attesa di Agnese, mentre il primogenito Giacomo, di 5 anni, era avvolto in una coperta tra le braccia del padre Valter; seguivano Maura col marito, i nostri collaboratori e infine Pina e io. Nel 1948, quando ero poco più di un bambino, il Borbore esondò e vidi arrivare dal balcone di casa mia un’onda alta più di due metri che buttò giù e trasportò con una prepotente e cattiva forza tutto quello che incrociava il suo cammino. Con quel quadro in mente percorsi i metri che ci dividevano dal ponte della stazione ferroviaria, pregando come non mai: parole scombussolate e disordinate, confondevo l’Ave Maria con il Padre Nostro, ma recitate con tanta fede e sempre con gli occhi sul gruppo. Finalmente arrivammo sul ponte, tutti insieme, tutti salvi. In poche ore la furia del Tanaro mise in ginocchio i tre quarti della città”.
Quando siete potuti tornare per valutare i danni?
“Il mattino seguente, verso le 6, insieme a Pina e a mio fratello mi recai sulla gradinata dell’allora palazzo della Finanza, per vedere la piazza del Palio coperta da un metro e mezzo di acqua. Un’immagine straziante. Alle due del pomeriggio i vigili ci permisero di parcheggiare le auto sul piazzale Amendola, nei pressi della Saclà. Andammo quindi verso casa, transitando su corso Venezia. Corso Savona si mostrava con varie frane, auto contro gli alberi, marciapiedi sprofondati nelle cantine. Avevamo paura di entrare nella nostra casa e nel ristorante, dove trovammo alcune sedie appese ai lampadari e frigoriferi ribaltati. Le cantine erano piene d’acqua e fango, il cortile immerso in una poltiglia di fango e pietre. Dopo un paio di giorni l’acqua si ritirò, solo i campi restavano ancora allagati, e il fenomeno apparve chiaro in tutta la sua drammaticità. La nostra iniziale paura divenne rabbia, e cominciarono i lavori frenetici per rialzarci in piedi”.
L’intervista completa e altri approfondimenti sull’alluvione del ‘94v sulla Gazzetta d’Asti in edicola da venrrdì 8 novembre 2024
Cristiana Luongo