“È necessario un approccio alla malattia basato anche sul trattamento precoce con nuovi farmaci che abbiamo e che avremo a disposizione”. Così il professor Pietro Luigi Garavelli, primario della Divisione di Malattie Infettive dell’Ospedale Maggiore della Carità di Novara, sottolinea l’importanza delle terapie nella lotta al covid.
Nato ad Alessandria e astigiano per acquisizione da parte di moglie, avendo sposato la commercialista Micaela Marello ed essendo socio del Lions Club di Villanova d’Asti, si laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Pavia nel 1985. Il professor Garavelli vanta una lunga carriera didattica e scientifica, essendo autore di oltre 500 pubblicazioni ed avendo svolto numerose ricerche soprattutto nel campo della parassitologia.
Nel nostro paese la campagna vaccinale procede a ritmo spedito, ma la “variante delta” continua a diffondersi e i dubbi circa l’efficacia degli strumenti a nostra disposizione nella lotta alla pandemia aumentano: i vaccini ci proteggono dalle nuove varianti? Come potremmo gestire un’eventuale quarta ondata? Le cure impiegate fino a questo momento sono efficaci?
Abbiamo incontrato il professor Garavelli per porgli alcune domande sui vaccini, le varianti e le cure:
Professore, lei crede che i vaccini costituiscano uno strumento efficace nella lotta contro il virus?
“I vaccini costituiscono un’arma parziale contro il virus, perché condizionati nella loro efficacia dalle continue mutazioni cui il virus è soggetto. Devono essere quindi affiancati da cure precoci e da comportamenti responsabili”.
Lei si è sempre dimostrato molto prudente verso i nuovi vaccini a Mrna…
“Innanzitutto, è opportuno precisare che questi preparati non rientrano strettamente nella definizione di vaccino, ma sono qualcosa di diverso. Gli effetti collaterali a breve periodo di questi sono comunque sottostimati. Non conosciamo le problematiche a medio e lungo termine, note solo fra alcuni anni. Per questo motivo mi sono sempre mostrato prudente verso questi “vaccini”, sia in termini di tollerabilità che di efficacia, per l’emergere delle varianti”.
Lei è d’accordo a vaccinare le fasce d’età più giovani?
“Bisogna sempre valutare il rapporto tra rischi e benefici: nella fascia di età che comprende i giovani, a fronte di un rischio pressoché nullo di sviluppare una forma grave della malattia, sono presenti invece quelli legati alla pratica vaccinale. Con l’avanzare dell’età questo dato si inverte. Sarebbe quindi opportuno vaccinare prioritariamente i cosiddetti “soggetti a rischio” indipendentemente dall’età”.
L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 9 luglio 2021
Alberto Barbirato